CODA ALLA VACCINARA

Le produzioni, le acque e l’aria di Roma

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cms_21813/1.jpgDa: “Lettera sopra il tarantismo, l’aria di Roma, e della sua campagna” di Francesco Cancellieri.

Per ragion del suo sito Roma è anche abbondante di ogni genere di commestibili,e nulla le manca di ciò, che serve a mantener lautamente la vita, venendole copiosamente somministrato da tutto il fertilissimo suo contorno, sì dal regno vegetabile che dal minerale. Non mancano, oltre che le carne salate, anche le più salubri, e saporose di ben pasciuti manzi, e di vitelle mongane, e che non cedono alla delicatezza di quelle di Sorrento; per non parlare degli agnelli e de’ capretti, e de’ castrati; ed abbondano giuncate, ricotte, latti, butiri, vova di bufala, provature, caci fiori, e formaggi di ottima qualità, da non invidiar molto quelli della Lombardia.

Di più, oltre il pollame, vi ha tale abbondanza e varietà di selvaggina, sì volatile come terrestre, qual forse non si trova in verun’altra città d’Italia. Si aggiungano gli olj, i vini, non meno delle nostre ville, che de’ vicini Castelli, le frutta, i lustrati, gli aranci, i cedrati, i broccoli, i cavoli fiori, gli sparaci e gli erbaggi di ogni genere, e tutto di squisito sapore, e finalmente il frumento, ed il frumentone, che qui per lo più sopravanzano al bisogno.

Soprattutto si deve osservare la prodigiosa quantità di acqua, che forma una dei più bei commodi, e de’ più meravigliosi ornamenti di questa città. E chi potrebbe non ammirare una copia d’ acqua sì esorbitante, e non già nata tra queste mura, ma obbligata a venirvi da lontane sorgenti sopra le spalle di Archi innumerabili e condotti, fin sulle cime de’ nostri colli più eminenti? […]

Diverse sono queste acque; alcuna più, alcuna meno salubre, ma tutte buone e potabili, ed alcune impregnate eziandio di minerali, e proficue sostanze.

Bonifacio VIII beveva ogni giorno l’acqua di Anticoli, Clemente VII e Paolo III beveano quella del Tevere, che si facevano portare anche nei loro viaggi a Loreto, a Bologna e a Marsiglia. Essendo stata analizzata quest’ acqua, si è rilevato che la sua opacità e il suo colore fangoso dipendono da particelle calcarie, o piuttosto marnose. Due libbre e mezzo di peso Romano, attinto dal fiume, lungi dalla sponda, ed evaporate, hanno dato un residuo di grani due e mezzo, composto di finissima terra marnosa, di colore cenerino che, messo sulla lingua, sviluppò un sapore sensibile assai di muriato di soda, o sia di sale comune.

Anticamente si vendeva l’acqua del Tevere per la Città, come si fa adesso dell’ Acqua Acetosa, portandola in giro per le case con i somieri, dopo di averla attinta dalle cisterne. Lo Spedale di san Giovanni in Laterano ebbe origine da questa gente, che portava l’acqua per Roma, e si esponeva ogni anno per la Festa del Santo Precursore una Pianeta, in cui era ricamato un Asino con due barili d’acqua per parte, come anche adesso si portano dai muli con due o tre bariletti per parte, per le Cordonate del Palazzo Vaticano[...]

Merita ancora speciale commendazione l’eruditissima Dissertazione del Ch.Sig. Dottor Giuseppe De Matthaeis sul culto reso dagli antichi Romani alla Dea Febbre. Egli ha dimostrato, che in ogni tempo, più o meno hanno dominato in Roma le febbri, come confermasi da Galeno intorno le febbri periodiche, da lui chiamate semiterzane.

Quindi ha dimostrato la ragione del culto introdotto della Dea Febbre, il di cui presidio s’invocava per rimaner esente da’ molesti suoi assalti. Ma essendo poi cessata la superstizione, ai suoi Templi profani furono sostituiti i Sacri Altari e le sante Immagini dellaMadonna…

Fin dal 1794 il Congresso accademico di Agricoltura pubblicò un Programma col quale invitò i dotti Medici e Fisici ad indagare, al lume della moderna Chimica, la costituzione e l’indole della nostra aria maremmana, in tempo d’estate, e quella delle malattie, che periodicamente nella stessa stagione vi regnano, e i mezzi tanto profilattici che curativi, onde prevenirle o stirparle.

Essendo stato scritto molto da molti intorno alle cause dell’insalubrità dell’aria di Roma, il sig De Matthaeis ha cercato di conciliarne le diverse opinioni.

In seguito delle irruzioni barbariche, essendo rimasti abbandonati i campi, rovinati gli edificj, ostrutti o rotti i canali, i fossi, gli acquedotti, arrestato ed impedito il corso naturale ed artificiale delle acque, gl’impaludamenti e i ristagni si moltiplicarono, l’aria si guastò, e si corruppe ognora più...

Le vere ragioni di questi cambiamenti devonsi principalmente attribuire a’ miasmi palustri ed alle acque che riempiono e circondano questa città nei siti deserti, nelle profonde valli, nelle vigne e negli orti, ripiene d’erbe. Perché ristagnandosi e putrefacendosi con l’eccesso di calore, tramandano morbosi e venefici effluvj.

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La coda deve essere tagliata in tocchetti di 5-8 centimetri. Non essendo facile, fatevi aiutare dal solito macellaio di fiducia, che è pratico del taglio ed è dotato di quei coltelli grandi che di solito non si tengono in casa perché sono pericolosi, specie per voi, se li dovesse tenere in mano vostra moglie durante un litigio.

Dunque, tagliata la coda, lavatela, asciugatela e mettetela da parte, in attesa di tuffarla in un tegame bello capiente, dove nel frattempo preparate un soffritto con olio, lardo e grasso di prosciutto. Fatelo insaporire per un paio di minuti e poi ci tuffate la coda. Lasciatela schiocchiarellare un po’, salatela e pepatela, aggiungete quindi una cipolla tagliata fine, due spicchi d’aglio schiacciati, una decina di chiodi di garofano, pepe nero come la notte e un bel bicchiere di vino bianco. Coprite e lasciate insaporire per altri dieci minuti.

A questo punto mettete nel tegame anche un barattolo di pomodoro e coprite il tutto con acqua. Fate cuocere a fuoco vivace e aspettate con calma un paio d’ore o forse tre. Ogni tanto date uno sguardo al sugo affinchè non si ritiri troppo, ed eventualmente aggiungete altra acqua.

E il sedano? Questo famoso sedano che tutti dicono far parte integrante della ricetta della coda alla vaccinara? Va messo nel tegame? Calma, adesso vi dico.

Prendete un bel sedano, non quello bianco che si mangia a cazzimperio (con olio, sale, pepe), ma quello verde, ignorante, che si presenta malissimo alla vista ma il cui aroma è ciò che rende questo piatto così saporito.

Allora, prendete questo tipo di sedano, togliete la parte con le foglie, (se mangiate in quantità possono avere effetti tossici) e tagliatelo in pezzi lunghi circa quanto il dito medio.

E’ chiaro che se avete una manona larga come un prosciutto, vi dovete regolare in un’altra maniera, cioè tagliatelo in pezzi di 7-8 centimetri.

Mettetelo a bollire in un tegame a parte con acqua e sale e, appena cotto, passatelo in un frullatore e poi rimettetelo nel suo tegame, aggiungendoci pinoli, uvetta, cioccolato amaro in polvere e un po’ di sugo della coda che sta ancora cuocendo per conto suo. Mettete il tegame contenente il sedano e gli altri ingredienti sul fornello a fuoco moderato e lasciatecelo per qualche minuto.

Quando la coda è cotta, versateci sopra la salsa fatta con il sedano e gli altri ingredienti e fatela amalgamare. Lasciate riposare il tutto almeno mezz’ora e poi decantate il grasso in eccesso affiorato in superficie.

Servitela calda. Delicata come il sorriso di un bimbo e passionale come unabella donna.

Signori, Sua Maestà la Coda!

Bruno Di Ciaccio

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