COMMERCIO INTERNAZIONALE DI ARMI

Dati export-import allarmanti nonostante l’ATT del 2014

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Il ritrovamento dei missili anticarro francesi in Libia, lo scorso giugno, ha acceso i riflettori su uno dei trattati più importanti firmati a livello globale, che non sempre però viene rispettato. Il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty, ATT) è il primo strumento giuridico di portata globale che stabilisce criteri per l’autorizzazione di trasferimenti riguardo otto categorie di armi convenzionali che ricalcano quelle del relativo Registro – il Registro delle Armi Convenzionali delle Nazioni Unite e relative parti e munizioni – incluse le armi leggere e di piccolo calibro. Adottato con voto dall’Assemblea Generale dell’ONU il 2 aprile 2013, è entrato in vigore il 24 dicembre 2014, tre mesi dopo le 50 ratifiche necessarie e in un processo straordinariamente rapido. A oggi, il Trattato conta 96 Stati e 130 firmatari. Per trovare un precedente in materia, bisogna tornare alla Società delle Nazioni: il 17 giugno 1925 fu aperta alla firma, a Ginevra, una relativa Convenzione; il suo scopo era sottoporre a un regime di controllo e trasparenza il commercio internazionale delle armi, e proibirlo nel caso in cui l’impiego fosse vietato dal diritto internazionale. La Convenzione, però, non entrò mai in vigore. A questa ne sarebbe dovuta seguire una relativa alla fabbricazione, ma la mancata entrata in vigore della prima fece naufragare ogni tentativo di disciplina della materia. Primo nel suo genere, quindi, l’ATT persegue due obiettivi principali: regolamentare il commercio legale di armi e prevenirne (se non eliminare) il traffico illecito, al fine di contribuire alla sicurezza internazionale, ridurre sofferenze e promuovere l’azione responsabile degli Stati. II nodo centrale è costituito dagli articoli 6 e 7: il primo stabilisce i casi in cui i trasferimenti sono proibiti – nei casi di sanzioni o embarghi decisi dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, o se potrebbero essere finalizzati alla commissione di atti di genocidio, crimini contro l’umanità o violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 – l’articolo 7, invece, stabilisce dei criteri che gli Stati devono considerare prima di autorizzare l’esportazione. Nonostante il Trattato, comunque, dai pochi studi a riguardo emergono dati poco rassicuranti sul volume del commercio globale di armi. Allarmante è il fatto che tra i sei Paesi massimi esportatori, cinque siano i membri permanenti del Consiglio di sicurezza ONU. Una contraddizione, come evidenzia Paolo Beccegato, vicedirettore Caritas italiana, dato che “il Consiglio fu concepito per farsi protettore della pace e dei diritti umani fondamentali nel mondo”. Ma andiamo con ordine.

ESPORTAZIONI

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Il volume del commercio internazionale di armi pesanti nell’ultimo quinquennio – come riportato dall’Agenzia AsiaNews – ha superato del 7,8% quello precedente e del 23% il periodo 2004-2008. È quanto emerge anche da una ricerca pubblicata l’11 marzo 2019 dal Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma). In vetta alla classifica, i cinque principali esportatori: Stati Uniti (34%), Russia (22%), Francia (6,7%), Germania (5,8%) e Cina (5,7%). Poi il Regno Unito (4,8%), Spagna e Israele (con entrambi il 2,9%), quindi l’Italia (2,5%). Messi insieme, i primi cinque superano i tre quarti del volume totale. Le esportazioni di armi dagli USA sono aumentate del 29% negli ultimi 10 anni e la quota complessiva nello stesso periodo è passata dal 30 al 36%. Washington “ha consolidato la propria posizione come leader mondiale nella fornitura di armi” secondo Aude Fleurant, direttore del programma sulle armi e le spese militari del Sipri. Gli Usa, prosegue l’esperto, hanno esportato armi “ad almeno 98 nazioni negli ultimi cinque anni” compresi “missili balistici e bombe teleguidate”. Di contro, sono diminuite del 17% quelle dalla Russia, in particolare grazie alla minore richiesta da parte di India e Venezuela. Indici positivi nell’ultimo decennio per Francia (+43% nelle esportazioni) e Germania (+13%). Il dato complessivo per i Paesi UE è pari al 27% del commercio globale fra 2014 e 2018. Per quanto riguarda la Cina, se fra 2004 e 2013 le esportazioni erano crescite del 195%, nell’ultimo quinquennio l’aumento registrato è del solo 2,7%. Un aumento sostanziale è quello registrato da Israele (+60%), Corea del Sud (+94%) e Turchia (+170%).

IMPORTAZIONI

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Il flusso di armi è aumentato in Medioriente mentre vi è stata una diminuzione per tutte le altre regioni del pianeta (esclusa l’Australia!). Nel primo, infatti, è aumentato dell’87% e rappresenta il 35% delle importazioni globali nell’ultimo quinquennio. L’Arabia Saudita è diventata il principale importatore mondiale, superando l’India, con un aumento del 192%, a tutto beneficio del suo principale partner internazionale. Quelle dell’Egitto, passato dall’undicesimo al terzo posto, sono triplicate (+206%). Sono cresciute pure le importazioni da parte di Israele (354%), Qatar (225%) e Iraq (139%). Infine, sono diminuite dell’87% quelle della Siria.

Per concludere, già nel 2013 lo IAI (Istituto Affari Internazionali) esprimeva un giudizio realista sul Trattato, affermando che “Sarebbe troppo facile osannare l’ATT come una panacea contro il traffico di armi o al contrario affermare che esso sia privo di effetti pratici”, sottolineando che “comunque i compromessi non hanno consentito la sua approvazione per consensus ma soltanto a maggioranza, sia pure ampia”. Ulteriori miglioramenti e presa di coscienza da parte degli Stati, dato lo scenario attuale e le relative “sfide” globali, risultano urgenti e necessari.

Lorenzo Pisicoli

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