CONCORRENZA E SERVIZI ESCLUSIVI: IL FUTURO PER I SOCIAL E’ A PAGAMENTO

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cms_29858/1.jpgSarà per una maggiore richiesta di qualità o forse per un maggior controllo sui contenuti e un minor peso dell’algoritmo sui contenuti proposti, ma gli utenti dei social sembrano quasi tutti disposti a pagare per avere servizi migliori.

Dopo anni di gratuità (o quasi) dei servizi proposti, e dopo altrettanto tempo di profilazione grazie all’utilizzo indiscriminato dei nostri dati, dei nostri contenuti e delle nostre connessioni per erogarci pubblicità mirata, sta nascendo una richiesta dal basso di condizioni più attente alle esigenze di privacy dell’utente. A fronte di un assalto indiscriminato alla diligenza dei dati forniti dall’utente e ad una conseguente riottosità da parte degli stessi di fornire proprie informazioni, molte piattaforme hanno iniziato a considerare la possibilità di ottenere nuove fonti di ricavi mettendo in vendita, per esempio, servizi a pagamento. Twitter, Meta e Snapchat stanno andando in questa direzione, mettendo in vendita alcuni contenuti esclusivi e nuove funzionalità per gli utenti che accettino di pagare per determinati servizi. Siamo però nell’ottica di proposte e offerte che però ancora non vanno nella direzione di una migliore esperienza di utilizzo delle piattaforme.

cms_29858/2_1679712260.jpgUn esempio potrebbe essere offerto dalla famosa spunta blu di Twitter accanto al nome di un utente, un certificato di garanzia che quell’account rappresenta un utente verificato, con una identità accertata direttamente dalla piattaforma, al di là che possa essere un personaggio pubblico o un utente pagante.

L’utente di Twitter in questa maniera avrebbe la certezza di comunicare con una persona reale e non, per esempio, un bot o un account fake. Si genererebbe cioè un servizio facoltativo a disposizione solo degli utenti paganti. Un’altra possibilità che renderebbe lo spazio social più vivibile, potrebbe essere quella di tagliare fuori gli algoritmi dalle scelte su cosa mostrare e a chi mostrarlo. Offrire un servizio a pagamento che dia la garanzia che i propri contenuti siano effettivamente a disposizione dei follower, senza pubblicità inserita liberamente da un algoritmo, una soluzione che potrebbe essere apprezzata da molti utenti. Tornando all’attualità, come scritto sopra, anche Meta si sta adoperando per implementare la qualità della sua piattaforma; recentemente ha annunciato il lancio di “Meta Verified”, un programma a pagamento (a 11,99 dollari al mese) che, tra le altre cose, darà agli utenti iscritti una spunta blu di riconoscimento, un servizio clienti migliore (con l’accesso garantito a una «persona vera») e l’aumento della visibilità e della reach, ovvero il numero di persone che visualizzano i contenuti. Meta Verified dunque sembra aver preso spunto da Twitter che con il potenziamento di Twitter Blue, ha creato una fonte di guadagno (8 dollari al mese) per l’azienda di Musk.

cms_29858/3.jpgMeta Verified e Twitter Blue, a cui si aggiungono Snapchat con la sua versione premium Snap a 3,99 dollari al mese per offrire filtri esclusivi e YouTube Premium con video scevri da pubblicità, sono casi concreti che certificano come la rincorsa a monetizzare i social sia un percorso ormai in atto nel settore del digitale.

Il fenomeno sta così prendendo piede e sembra suggerire che l’epoca del tutto gratis e per sempre sia finita e si stia affacciando al suo posto una realtà in cui le aziende digitali devono non solo cercare un cambio di rotta nel settore per ottenere maggiori guadagni e offrire servizi migliori ed esclusivi, ma dove le tradizionali piattaforme social si impegnano a rivalutare le proprie strategie di fronte alla diffusione e alle novità di un competitor come TikTok. Se in un primo momento la risposta al colosso cinese è stata, da parte di Meta in particolare, di scimmiottare il modello TikTok circa i reel e i feed proposti, ora si cerca di rivedere strategie e modelli comportamentali proponendo, attraverso abbonamenti, un servizio probabilmente esclusivo e d’elite ma perlomeno di qualità e libero da hater.

Andrea Alessandrino

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