CONTRADDIZIONE DONNA

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Viviamo un’epoca di grandi discrasie in cui è proprio la donna a mostrare maggiori elementi di contraddizione nel suo percorso evolutivo con più di uno step che, sia pure non escludendo la continua tensione alla parità di genere, ne mostra una inconsistente stabilità. Così, mentre è ormai acclarata l’assunzione al femminile di ruoli sempre più impegnativi in ogni campo della vita sociale e lavorativa, con mansioni non solo esecutive ma di programmazione e dirigenza nell’imprenditorialità privata e pubblica sino ad alti incarichi istituzionali e politici; d’altra parte, ricorre quasi una sospensiva della fissazione di pari dignità e relativa consapevolezza, persistendo un alone pregiudizievole che accompagna, non solo il modo in cui l’uomo guardi alla femminilità ma, anche, l’estrinsecazione che ne faccia proprio la donna in implicito ossequio a quel naturale ruolo originario di dover “piacere” all’altro sesso.

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Se ciò, nel susseguirsi temporale dell’alternante intendere limiti in tema di dignità e libertà del costume, ha comportato anche un vestire o svestire panni, dai più o meno ingombranti ai più o meno succinti; la tendenza al superamento dell’etica che imporrebbe decoro e buongusto, per le donne, ha significato soltanto “falsa liberazione”. Tanto è ravvisabile nella rappresentazione grottesca volgare e umiliante del femminino come troppo spesso riportato nella oggettivazione di lati “A” “B” e ”C” che ne facciano le pubblicità nei media; altrettanto si ritrova nella rappresentazione dell’assecondare il gusto maschile che senz’altro si appaghi del vedere giovani corpi di “veline”, magari di razza diversa per un opportuno messaggio antirazzista e di auspicio allo “ius soli”, comunque riprese dal basso in primissimo piano, saltellanti come animali da circo con movenze feline che si concludano nell’accosciarsi sulla scrivania davanti ai conduttori naturalmente maschi e latori, loro sì, di meritevole satireggiare contro il malcostume; tanto più se ne ravvisa un unico senso di svilimento nel nudo integrale quale possa essere nella sottomissione a “50 sfumature di grigio oppure di nero”.

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Di questo passo, a differenza di quanto avviene in qualche posto come la Norvegia dove l’aumento del tasso di genere femminile è anche aumento del pil; in Italia, sinchè il gusto imperante sia quanto imperversa in pubblicità e veline, la parità di genere non può che restare incolmabile, riflettendosi un forte divario di genere ovunque: nella disparità di stipendi soprattutto nell’esercizio di alcune attività come quelle sportive in cui le donne sono a livello dilettantistico; nella poco diffusa toponomastica al femminile; altresì nell’adeguamento di genere, a stento, nelle qualifiche come ministra avvocata cancelliera ecc..che erano state sempre al maschile; persino nel ricorso ad un tour per diffondere l’opporsi alla cultura gender che unisce maschietti e femminucce nell’appellativo di “bambini” laddove la differenza di genere richiede per le femminucce il proprio appellativo “bambine”.

D’altra parte, in contraddizione ad una femminilità con estrinsecazioni secondo l’imperversante gusto maschile, la libertà di opinione che verta sulle donne incontra un algoritmo censorio solo nella critica- sermone di simili o seguaci della Boldrini; di pari passo, lo stesso tavolo “politically correct”, voluto dal ministro Orlando per comprendervi il controllo sui social, vede ben quattro agenzie di controllo musulmane che difficilmente possono essere obiettive.

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Intanto, nella contrapposizione dei generi, si registra un cambiamento epocale proprio nell’attuale reazione delle tante gole femminili improvvisamente profonde che, soprattutto in ambito cinematografico internazionale ma anche nazionale, senza dare prove di quanto denunciano a scoppio ritardato a distanza di tanti anni, si vendicano dell’avere asservito il diritto al rispetto della propria femminilità al non essere state capaci di sottrarsi alle molestie di un rapace maschio che si era ritenuto di assecondare in vista di trarre una propria utilità dal di lui potere. Così, nel caso delle denunce delle connazionali Asia Argento e Miriana Trevisan, l’una nei confronti del produttore americano Harvey Weinstein e l’altra nei confronti del regista GiuseppeTornatore.

Non avendo a che fare con il ben diverso diritto, nonchè dovere verso se stesse, di denuncia di troppe donne vittime di soprusi e violenze anche domestiche; va sottolineato che la libertà di cui attualmente si stanno avvalendo le due attrici, così come è moda invalsa fra altre colleghe nel mondo dello spettacolo, almeno in Italia oggi si riduce a diffamazione che può solo ritorcersi contro le stesse dato che, a distanza di troppo tempo, certe molestie oltre che essere difficilmente dimostrabili non sarebbero più punibili per intervenuta prescrizione.

Senza contare che, comunque, rientra nella contraddizione propria del peggiore porsi di una donna che, nel pretendere rispetto e riconoscimento di parità di genere, non sappia far risalire ad una propria responsabilità anche la libera scelta di entrare, o meno, in un perverso gioco di parti di cui non possa non essere stata consapevole.

Rosa Cavallo

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