CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

Parità stipendiale applicabile subito

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cms_22195/apertura.jpgGli stessi operatori del diritto dimenticano spesso gli effetti rivoluzionari che comporta l’essere parte di una entità chiamata “Europa”, specie in riferimento a molte norme che da questa entità sono prodotte e che, anche laddove contrastino con norme nazionali, sono direttamente applicabili a scapito di queste ultime che pertanto devono essere ritenute prive di qualsiasi effetto.

Ce lo ricorda a più riprese la Corte di giustizia dell’Unione europea, questa volta con la sentenza sul ricorso C-624/19, intervenendo nell’ostico e fondamentale settore della discriminazione di genere.

Discriminazioni di genere ci sono anche nella civilissima Europa, purtroppo, e si declinano in molteplici forme, variegate e subdole, stratificate da condotte ataviche, troppo spesso tollerate e diventate croniche.

La Corte interviene infatti in tema di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile, richiamandosi a uno dei principi fondamentali del Trattato più importante dell’Unione, il TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), sancendo la diretta applicabilità di questo principio da parte del Giudice nazionale, impegnato a dirimere controversie insorte tra datori di lavoro e dipendenti, in base a quanto stabilito dall’articolo 157 del TFUE.

Con molto senso pratico e, al tempo stesso, con una certa raffinatezza, la CGUE ha individuato uno degli equivoci per cui questa “parità” è stata ripetutamente violata, giungendo a parificare la nozione di "stesso lavoro " a quella di "lavoro di pari valore" e quindi precisando che, per individuare i trattamenti discriminatori, bisogna inevitabilmente avere un metro di paragone che li evidenzi.

In questo caso, a parere della Corte, il riferimento principale non può che essere la unicità della “fonte” da cui promana il potere di decidere i trattamenti economici, e cioè il datore di lavoro al cospetto dei dipendenti di sesso diverso, anche se assegnati a sedi o con mansioni diverse.

In questo modo si dovrebbe evitare che la discriminazione si nasconda dietro la facciata di una diversa ubicazione in cui si esegue il lavoro o dietro dettagli operativi che inquinino solo in apparenza la sostanziale uguaglianza del “lavoro”. Ecco perché è fondamentale il concetto del “lavoro di pari valore”.

Come in tutti i casi un cui si trovano principi di carattere generale, la operatività degli stessi nei casi pratici è demandata al Giudice, in questo caso chiamato a stabilire in punto di fatto se i lavoratori svolgano uno “stesso lavoro” o un “lavoro di pari valore”.

Il nodo gordiano è ora tutto qui, perché le interpretazioni dei Giudici di merito per stabilire se un determinato fatto rientri in una o nell’altra categoria saranno certamente frastagliate e ci vorrà molto tempo per catalogare fatti simili e sentenze che consentano di ottenere un minimo grado di prevedibilità su come una controversia da iniziare potrebbe terminare.

Nicola D’Agostino

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