CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA
Parità stipendiale applicabile subito

Gli stessi operatori del diritto dimenticano spesso gli effetti rivoluzionari che comporta l’essere parte di una entità chiamata “Europa”, specie in riferimento a molte norme che da questa entità sono prodotte e che, anche laddove contrastino con norme nazionali, sono direttamente applicabili a scapito di queste ultime che pertanto devono essere ritenute prive di qualsiasi effetto.
Ce lo ricorda a più riprese la Corte di giustizia dell’Unione europea, questa volta con la sentenza sul ricorso C-624/19, intervenendo nell’ostico e fondamentale settore della discriminazione di genere.
Discriminazioni di genere ci sono anche nella civilissima Europa, purtroppo, e si declinano in molteplici forme, variegate e subdole, stratificate da condotte ataviche, troppo spesso tollerate e diventate croniche.
La Corte interviene infatti in tema di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile, richiamandosi a uno dei principi fondamentali del Trattato più importante dell’Unione, il TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), sancendo la diretta applicabilità di questo principio da parte del Giudice nazionale, impegnato a dirimere controversie insorte tra datori di lavoro e dipendenti, in base a quanto stabilito dall’articolo 157 del TFUE.
Con molto senso pratico e, al tempo stesso, con una certa raffinatezza, la CGUE ha individuato uno degli equivoci per cui questa “parità” è stata ripetutamente violata, giungendo a parificare la nozione di "stesso lavoro " a quella di "lavoro di pari valore" e quindi precisando che, per individuare i trattamenti discriminatori, bisogna inevitabilmente avere un metro di paragone che li evidenzi.
In questo caso, a parere della Corte, il riferimento principale non può che essere la unicità della “fonte” da cui promana il potere di decidere i trattamenti economici, e cioè il datore di lavoro al cospetto dei dipendenti di sesso diverso, anche se assegnati a sedi o con mansioni diverse.
In questo modo si dovrebbe evitare che la discriminazione si nasconda dietro la facciata di una diversa ubicazione in cui si esegue il lavoro o dietro dettagli operativi che inquinino solo in apparenza la sostanziale uguaglianza del “lavoro”. Ecco perché è fondamentale il concetto del “lavoro di pari valore”.
Come in tutti i casi un cui si trovano principi di carattere generale, la operatività degli stessi nei casi pratici è demandata al Giudice, in questo caso chiamato a stabilire in punto di fatto se i lavoratori svolgano uno “stesso lavoro” o un “lavoro di pari valore”.
Il nodo gordiano è ora tutto qui, perché le interpretazioni dei Giudici di merito per stabilire se un determinato fatto rientri in una o nell’altra categoria saranno certamente frastagliate e ci vorrà molto tempo per catalogare fatti simili e sentenze che consentano di ottenere un minimo grado di prevedibilità su come una controversia da iniziare potrebbe terminare.
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