COVID,VACCINO IN GRAVIDANZA PROTEGGE MAMMA E BEBE’ BEN 10 VOLTE IN PIU’

Covid: studio, in Italia con remdesivir 5mila ricoveri e 1000 decessi in meno

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Covid, vaccino in gravidanza protegge mamma e bebè 10 volte più di guarigione

cms_28230/Vaccino-in-gravidanza-555.jpgNelle mamme in gravidanza che hanno ricevuto un vaccino anti-Covid a mRna la concentrazione di anticorpi contro il coronavirus pandemico è 10 volte più alta che nelle donne incinte guarite dopo un contagio da Sars-CoV-2. E lo stesso vantaggio protettivo della vaccinazione rispetto all’infezione naturale si osserva nei loro bambini.

E’ quanto emerge da un nuovo studio Usa condotto da scienziati del Children’s Hospital di Philadelphia e dell’Università della Pennsylvania, pubblicato su ’Jama Network Open’. Il lavoro dimostra inoltre l’importanza, per le madri in attesa, di sottoporsi per tempo alla vaccinazione Covid-19 così da massimizzare il trasferimento di anticorpi al nascituro. Gli anticorpi vengono infatti rilevati già dopo 15 giorni dalla prima dose di vaccino, con livelli che aumentano diverse settimane dopo.

La ricerca è stata condotta sulle donne che hanno partorito al Pennsylvania Hospital tra il 9 agosto 2020 e il 25 aprile 2021. In particolare, le indagini si sono concentrate su 585 mamme in gravidanza che avevano anticorpi anti Sars-CoV-2 rilevabili nel siero del sangue cordonale. Tra queste, ne sono state identificate 169 vaccinate per Covid e mai infettate e 408 infettate, ma non vaccinate. Dal confronto è risultato appunto che le concentrazioni anticorpali delle vaccinate erano circa 10 volte superiori rispetto a quelle delle guarite. Quanto ai bebè, gli studiosi hanno trovato anticorpi IgG contro Sars-CoV-2 nel sangue del cordone ombelicale di oltre il 95% dei neonati (557 su 585), calcolando anche in questo caso livelli 10 volte maggiori nei figli di madri vaccinate rispetto ai bimbi di madri guarite.

Tuttavia, si è visto che il cosiddetto rapporto di trasferimento - ossia la misura in cui le concentrazioni anticorpali del sangue cordonale corrispondono ai livelli di anticorpi nelle madri - era leggermente inferiore nei neonati del gruppo ’mamme vaccinate’, rispetto a quelli del gruppo ’mamme guarite’. Analizzando i diversi fattori che potrebbero influenzare il rapporto di trasferimento, fra cui anche l’età gestazionale alla nascita e problemi di salute della madre quali ipertensione, diabete e obesità, gli scienziati hanno concluso che a pesare era soprattutto la tempestività o meno della vaccinazione Covid-19 in gravidanza.

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I risultati del lavoro suggeriscono che "la vaccinazione anti-Covid non solo offre una solida protezione alle mamme durante la gravidanza, ma fornisce anche concentrazioni maggiori di anticorpi ai bimbi, rispetto all’infezione da Sars-CoV-2", afferma il neonatologo Dustin D. Flannery, primo autore della ricerca. "Poiché la gravidanza è un fattore di rischio per Covid-19 grave - ricorda l’esperto - i nostri dati indicano che le donne incinte dovrebbero dare priorità alla vaccinazione per proteggere sé stesse e i loro figli".

"Il nostro studio - rimarca la neonatologa Karen M. Puopolo, autrice senior - indica che il tempo trascorso dall’infezione o dalla vaccinazione al parto è stato il fattore più importante nell’efficienza del trasferimento anticorpale. Un dato utile per ottimizzare la strategia vaccinale anti-Covid in gravidanza. Le pazienti - raccomanda la specialista - dovrebbero pianificare la vaccinazione con ampio anticipo sulla data prevista del parto, in modo che i loro bambini possano beneficiare di una solida risposta immunitaria".

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La pubblicazione dei dati relativi alla diffusione dell’epidemia, ai ricoveri e ai decessi, del ’Bollettino Covid’, dallo scorso 4 novembre 2022, su parere del ministro alla Salute, Orazio Schillaci, in base alle indicazioni prevalenti in ambito medico e scientifico, è diventata da giornaliero a settimanale.

Il prossimo bollettino sarà pubblicato Venerdì 11 Novembre 2022

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Covid: studio, in Italia con remdesivir 5mila ricoveri e 1000 decessi in meno

cms_28230/remdesivir.jpgLo scorso anno, in Italia, grazie all’impiego degli antivirali, in 20 settimane sono diminuiti gli accessi in ospedale, i ricoveri in terapie intensiva e i decessi. Lo conferma l’aggiornamento dello studio previsionale promosso da un team di economisti sanitari relativo all’impatto di una terapia antivirale (remdesivir) su costi sanitari e capacity delle terapie intensive, i cui dati sono stati illustrati durante il 43esimo congresso della Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo) a Bologna.

"Lo scorso anno - spiega Alessandro Signorini, direttore Health Economics Evaluation (Hee) Research Unit della Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences, che ha coordinato lo studio - abbiamo condotto un’analisi di farmaco-economia sulla riduzione degli accessi in terapia intensiva e dei decessi legati all’impiego di remdesivir. Oggi presentiamo l’aggiornamento delle stime fino a settembre 2022. Questo secondo modello, inoltre, include anche i pazienti ad alto rischio di progressione a malattia severa, che ora possono essere trattati con il farmaco antivirale. I risultati indicano una riduzione di 5mila ospedalizzazioni, di 1.500 accessi in terapia intensiva e di 1.000 decessi, con un risparmio per il Ssn di 51 milioni di euro in un periodo di 20 settimane".

Il messaggio principale, secondo Signorini, è che “al di là dei risparmi e dell’outcome clinico, bisogna considerare il rapporto costo-opportunità: ridurre le ospedalizzazioni per Covid-19 significa evitare che vengano realizzati percorsi specifici e far risparmiare ulteriori risorse legate alla gestione delle strutture, oltre che migliorare la sicurezza e la salute della popolazione".

E le esperienze maturate in due anni di Covid in Emilia-Romagna sull’uso degli antivirali, in particolare di remdesivir, la prima terapia al mondo ad essere stata autorizzata per il trattamento di Covid-19, sono state al centro del simposio "Covid-19: il profilo del paziente a due anni dall’inizio della pandemia e il ruolo di remdesivir nel percorso di cura” svoltosi nell’ambito dell’ultimo congresso nazionale Sifo. "Essendo un farmaco che blocca la replicazione del virus - sottolinea Michele Bartoletti, Humanitas University Unità operativa di malattie infettive Humanitas Research Hospital di Milano - se somministrato molto precocemente riesce a dare il meglio di sé, riesce a ridurre il tasso di ospedalizzazione e morte per la malattia soprattutto nelle persone che hanno un rischio concreto di sviluppare delle complicanze e delle conseguenze per l’infezione”.

Un focus è stato dedicato alle popolazioni che non sviluppano una buona risposta anticorpale. “In questa popolazione – continua Bartoletti – bisogna essere molto più attenti, molto più aggressivi nel trattamento perché le conseguenze della malattia possono essere molto simili a quelle che vedevamo all’inizio della pandemia, con gravi casi di polmonite e quindi ospedalizzazione e a volte anche purtroppo il decesso”.

Il simposio è stata anche l’occasione per discutere della best practice in Emilia-Romagna, eccellenza clinica e modello per la gestione della pandemia: la Regione ha infatti garantito costantemente la somministrazione tempestiva dei farmaci anti-Covid, grazie alla Rete Hub&Spoke del Centro di riferimento regionale antidoti attivo dal 2011 e al lavoro degli infermieri. "Un modello che funziona è un modello che raggiunge gli obiettivi prefissati – rimarca Brunella Quarta, referente Centro di riferimento regionale antidoti Rer Uo Farmacia ospedaliera azienda ospedaliera UniFe –. Ovvero, garantire nel minor tempo possibile l’accesso ai farmaci contro il Covid. Inizialmente quelli disponibili erano davvero pochi, quindi garantire un accesso tempestivo significava ottimizzare il risultato terapeutico e per raggiungere questo obiettivo è stata fondamentale la collaborazione tra i referenti farmacisti della rete antidoti, che ha gestito appunto anche i farmaci antivirali: sono stati oltre 50 i farmacisti che hanno gestito le scorte dei farmaci nel periodo pandemico e tuttora continua a gestirli".

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