CRISI UCRAINA: È UN GRANDE BLUFF?!?
Con un pizzico di onestà intellettuale sto constatando che la crisi Ucraina è lontana da giungere a una soluzione che porti nell’immediato a un vero cessate il fuoco e a un vero tavolo di negoziazione, possibilmente non mediato da Stati ambigui come la Turchia. Ogni guerra, sappiamo benissimo, include, dopo la fine delle ostilità, un negoziato. Solo una trattativa che accontenti tutte le parti in campo (USA inclusi), magari rimettendo sul “tavolo da gioco” le carte Crimea e Donbass al fine di far dividere (in un certo qual modo) equamente la posta tra russi ed ucraini, può essere auspicabile per un ritorno allo status quo ante il 20 febbraio 2014. Magari lasciare che il Donbass ritorni a essere realmente un’enclave di Mosca, considerate le popolazioni residenti russofone e i confini territoriali con la terra degli Zar (ogni riferimento a Putin non sarebbe casuale), e la Crimea sotto l’egida di Kiev. Devo anche sottolineare, però, l’enorme quantità di superficialità e ipocrisia, da una parte all’altra degli schieramenti, con il quale si sta portando avanti questa guerra di aggressione di Putin e (in risposta) per procura dagli USA. È ovvio che prima dell’invasione delle forze armate russe ci sono sempre stati in ballo in quella zona del pianeta, in primis, obiettivi geopolitici ed economici mondiali sia da parte degli Stati Uniti sia dalla Russia, che mettono in secondo piano quelli di natura etnico territoriale.
Sin dal 2014, con l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina, conseguente a un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale, le due superpotenze hanno giocato sporco con le pedine sistemate sullo scacchiere a est della cortina di ferro, avviando una partita con le regole della Guerra Fredda. Fermo restando l’invasione militare da manuale lanciata da Vladimir Putin, l’intelligence americana, però, sotto il comando di Obama prima, passando da Trump dopo e infine con Biden, ha tergiversato voltando le spalle a un pericolo di cui erano a conoscenza anche i muri. Con il risultato che dalle scaramucce mortali tra indipendentisti del Donbass e forze regolari ucraine aiutate dai paramilitari neonazisti del battaglione Azov, si è passati a una vera e propria guerra tra due nazioni dalle similari origini etniche. La crisi Ucraina ha avuto inizio alla fine di febbraio di quest’anno. Sono trascorsi molti mesi, però, senza che nessuno, fino a oggi, avesse la meglio sull’altro. Il Capo di Stato ucraino Volodymyr Zelens’kyj ogni giorno dall’inizio delle ostilità canta vittoria, forte del sostegno militare della NATO in termini di forniture belliche, mentre dall’altra parte le truppe di Vladimir Putin conquistano e perdono ripetutamente terreno senza riuscire a portare a termine l’Operazione Speciale di “liberazione dell’Ucraina dai nazisti”.
Il programma di Mosca di chiudere la partita in pochi giorni, massimo un mese, alla fine non è riuscito. Putin, pertanto, nonostante l’aumento delle forze in campo, l’uso dell’aviazione per radere al suolo intere città, disseminando di morti (soprattutto gente inerme) gran parte dei territori prima occupati e poi perduti, l’utilizzo dei mercenari e l’arruolamento dei riservisti, continua a tenere alto l’allerta di un attacco con missili nucleari. Nel frattempo, due giorni fa Rai News ha ripreso alcune parole del Consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Jake Sullivan, riguardo all’utilizzo di armi nucleari sull’Ucraina da parte della Russia, rilasciate durante la trasmissione del network NBC, Meet the Press: “se oltrepasserà questa linea, subirà conseguenze catastrofiche. Gli Stati Uniti reagirebbero con decisione”. Usare la minaccia nucleare come botta e risposta nel dialogo tra le due superpotenze fa rabbrividire! “Occhio per occhio e il mondo divenne cieco”, diceva il Mahatma Gandhi. Spero si tratti solo di un bluff giocato ad armi pari tra il Cremlino e la Casa Bianca, anche se dall’inizio del conflitto in palio come posta continuano a esserci i civili rei, in questo caso, di essere nati e cresciuti nel posto sbagliato.
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