CRISTINA CATTANEO - Con lei ogni persona ha un nome e una storia vera da far conoscere al mondo

Storia e storie

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C’è chi si compiace di negare la dignità umana all’altro e si impegna perché l’altro da sé venga oltraggiato, contrastato attraverso tutte le pietre d’inciampo possibili, negato nei diritti sia in vita che dopo la morte. E c’è chi riconosce il senso della propria vita nel dedicarsi all’altro da sé, nel farsene carico rispettandolo sia in vita che dopo la morte. Ciascuno può scegliere da che parte stare e come fare la propria parte.

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La storia che vi racconto e quella di una medico che “salva” i cadaveri per conoscere la causa della loro morte, possibilmente un nome e la loro storia perché sia possibile restituirgli la dignità e le onoranze dovute.

Trovare le cause della morte di una persona, darle un nome e cognome – ha detto in più di un’intervista la protagonista di questo racconto – non significa solo restituirle la dignità che merita, ma anche prendersi cura dei suoi cari e della loro salute mentale. «Il limbo porta con sé disturbi psichiatrici tremendi». «Non ci sono casi di serie A o B. Scopro i segreti dei morti perché sono utili ai vivi. Dare un nome ai morti prima di seppellirli è un dovere di civiltà che si assolve soprattutto per i vivi. E un fatto di salute mentale». Sono alcune delle dichiarazioni da lei rilasciate.

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Parlo oggi di Cristina Cattaneo, il medico legale dei “grandi misteri” . Dal caso di Yara Gambirasio alla vicenda De Pedis, dal suicidio di David Rossi al ritrovamento del cadavere di Elisa Claps, alla grande impresa civile per dare un nome a centinaia di migranti recuperati in fondo al mare, e poi l’uccisione di Serena Mollicone, la morte di Stefano Cucchi, fino all’ultimo incarico, l’analisi delle cause del misterioso decesso di Imane Fadil, la testimone d’accusa del processo Ruby Ter a carico di Silvio Berlusconi, che si è spenta di recente.

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Il medico dei grandi misteri è originaria di Casale Monferrato (Alessandria) dove è nata il 18 gennaio 1964. Aveva solo 7 anni quando si è trovata di fronte alla morte del suo vicino di casa, un caro amico e di fronte alla strada che avrebbe intrapreso con passione. Dopo essersi diplomata al liceo classico nel 1982, Cattaneo ha conseguito la laurea in Medicina e chirurgia nel 1994 presso l’Università degli studi di Milano e nel 1998 ha conseguito la specializzazione in Medicina Legale e delle Assicurazioni. Nel 1995 fonda il LABANOF – Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Istituto di Medicina Legale, Università degli Studi di Milano (in coll. con il Prof Marco Grandi). Nel 2017 fonda la CAL – Collezione Antropologica Labanof, di cui è Direttore.

«I parenti hanno bisogno di piangere su una tomba per elaborare il lutto. Altrimenti impazziscono, com’è accaduto a molte madri degli oltre 8.000 musulmani bosniaci trucidati a Srebrenica. Per i morti del secondo barcone colato a picco a sud di Lampedusa erano giunte richieste di notizie da 190 famiglie di dodici Paesi africani e da 90 residenti in Europa. Si poteva non dar loro una risposta?». «Ne sono stati estratti 528 (di cadaveri, ndr), con 20.000 ossa sparse di altre 200 persone».

Quello di Imane Fadil è solo l’ultimo di una lunga serie. Portava la sua firma la relazione di 352 pagine sull’omicidio di Yara Gambirasio, la bambina di Brembate di Sopra, vicino a Bergamo, trovata morta in un campo a Chignolo d’Isola nel novembre del 2010.

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Incrociando i rilievi sul corpo con nozioni di botanica ed entomologia, Cattaneo riuscì a stabilire che Yara era stata uccisa nello stesso luogo dove era stata ritrovata: le tracce di calce trovate sul suo corpo aprirono la strada all’ipotesi che l’assassino potesse provenire dal mondo dell’edilizia, come poi è accaduto.

«Il volto di Yara ce l’ho sempre davanti agli occhi. E l’indagine tuttora aperta mi tormenta la mente ogni giorno – dichiara la Cattaneo dopo la soluzione del caso – Io ho fatto la mia parte e ho consegnato la relazione, ma il suo ricordo è sempre vivo».

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Un caso inquietante è quello del luglio del 2010: Elisa Claps, una ragazza di Potenza scompare la mattina del 12 settembre 1993 e il suo corpo viene ritrovato 17 anni dopo, il 17 marzo del 2010, nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Sul suo corpo ci sono segni identici a quelli presenti su un’altra vittima, Heather Barnett, trovata morta a Bournemouth, in Inghilterra, il 12 giugno 2002. Dietro i due omicidi Cristina individua la stessa mano: quella di Danilo Restivo, già condannato all’ergastolo per l’omicidio della sarta e poi a 30 anni per l’omicidio Claps.

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Il progetto finalizzato a dare un’identità ai migranti morti in mare e diventato famoso in tutta Europa è nato il 3 ottobre 2013 alle 4 e mezza del mattino, quando un barcone con a bordo 368 migranti naufragò al largo di Lampedusa. «Quel disastro – ha raccontato Cattaneo – fece partire uno studio pilota per capire se fosse possibile ritrovare i parenti di questi morti».

Un progetto tutto italiano, ma non l’unico. L’altro si chiama RiSc (ricerca scomparsi) e anche in questo caso il contributo dell’anatomopatologa è stato fondamentale. Si tratta, in sostanza, di una banca dati contenente i “segni particolari” dei cadaveri non identificati. Queste informazioni vengono poi messe in relazione con le denunce di scomparsa.

«La tecnica sperimentata dalla professoressa Cattaneo – ha scritto nel 2017 il Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, Michele Penta – si è dimostrata vincente e ha consentito di identificare le vittime che non era stato possibile riconoscere nell’immediato.

L’imponente e faticosa attività di riconoscimento dei corpi ha meritato anche l’attenzione della prestigiosa rivista scientifica The Lancet, considerata tra le prime cinque riviste mediche internazionali, con la pubblicazione di un articolo intitolato “La battaglia dell’Italia per identificare i migranti morti”». Una battaglia giusta, soprattutto per chi resta.

Il nome di Cristina torna popolare nei media il 18 aprile 2015 quando un barcone con a bordo mille migranti naufraga nel Canale di Sicilia. I dispersi sono tra i 700 e 900. Le vittime accertate 58. Tra queste c’è un bambino del Mali dall’età stimata 14 anni. Cucita nella sua giacca c’è una pagella con i voti presi a scuola. Voleva dimostrare all’Europa di essere bravo. La storia del bambino senza nome l’ha raccontata la stessa Cattaneo nel libro Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo.

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Tutti i casi in cui è stata coinvolta raccontano una storia straordinaria. Singolare è anche quello che gli venne affidato dalla curia: investigare sui resti di un santo, perché si stavano degradando, e su quelli dei gemelli Gervasio e Protasio, posti nello stesso sarcofago per desiderio del patrono di Milano. L’esame autoptico ha accertato ciò che sembrava una leggenda secolare ossia che i resti appartenevano ai due fratelli di 20 anni, alti 1 metro e 80, uno decapitato e l’altro morto per i colpi di flagello, proprio come descritto nel martirologio. “Adesso vorrei ricostruire la storia della città attraverso i 4.000 scheletri custoditi in questo istituto e presso la soprintendenza», ha immediatamente dichiarato Cristina Cattaneo.

Quanto detto fin qui potrebbe bastare per capire da che parte sta la professoressa Cristina Cattaneo ma all’impegno consolidato negli anni di recente ne ha assunto un altro non meno gravoso: interpretare i segni sul corpo delle persone e formare un database per ricostruire la loro storia. Creare una medicina legale umanitaria è un’ ennesima sfida che senz’altro affronterà con amore. Perché chi ama non conosce limiti e confini.

Antonella Giordano

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