CRONACA DI " SPAZIENTITI" PER UN MEDICO GENERICO “SUI GENERIS”

SE IPPOCRATE POTESSE PARLARE, CHISSA’ COSA DIREBBE…

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Una dimostrazione emblematica di come i cittadini possano ritrovarsi impotenti persino davanti al disservizio propinato dal proprio medico, è stata quella vissuta da più di venti pazienti che, in data 5 febbraio 2018, avevano cercato invano di essere ricevuti presso l’ambulatorio del proprio medico di base secondo l’orario previsto, ovvero dalle h.8,30 alle h.10.30. Messi alle strette oltre ogni limite, gli stessi avevano desistito in maggioranza - i pochi rimasti avevano rinunciato anche alla consuetudine del pranzo familiare in tempo debito - avendo dovuto attardarsi presso l’ambulatorio in una ancora più estenuante attesa sino alle h.15 postmeridiane, per ricevere la dovuta assistenza sanitaria.

Nello specifico, va detto che, nel ruolo di medico, era una dottoressa presentatasi quasi un’ora dopo il preordinato inizio delle visite ambulatoriali, quando erano già le h.9.20 di una soleggiata mattina che, a guisa della sua luminosa atmosfera, sembrava avviata sotto gli auspici di quel quieto vivere che ci si attendeva dovesse ritrovarsi anche in un sereno avvicendamento dei pazienti per ricevere, secondo la priorità di arrivo, il servizio sanitario della consultazione per un incipiente malore oppure per la necessaria prescrizione di medicinali secondo una routine di cure già impostate.

Insomma, tutto quanto dovuto agli iscritti dall’assistenza sanitaria di un medico, fra cui anche l’aspettativa di un comportamento rispettoso, soprattutto quando, come nel caso in questione, si fosse già stati costretti ad incassare il forte ritardo che aveva abbondantemente sforato l’orario di inizio delle visite.

Ma quanto portato avanti dalla dottoressa in questione non era sembrato altro che avere messo alla prova, oltre ogni limite, la tolleranza dei suoi pazienti che, sino dal suo arrivo (come già detto alle h.9.20), l’avevano vista chiudersi nella stanza insieme con una signora anch’essa in camice bianco, ma esercente la farmacia ubicata nella via attigua. Ciò che aveva contribuito a ritardare, di un’altra mezz’ora, il servizio medico che, finalmente, era sembrato avviarsi solo intorno alle h.9,55, quando i pazienti erano stati invitati ad attenersi alla precedenza acquisita tramite il tagliandino numerato. Avvicendandosi non più di uno per volta, infatti, non si sarebbe perso “tempo in chiacchiere”, come la dottoressa aveva detto che sarebbe potuto avvenire nel caso avesse accettato la proposta di due signore che volevano essere ricevute insieme.

cms_8424/2.jpgPertanto, la prima visita era spettata ad una giovane donna sulla quale correva voce che fosse stata in attesa per strada dalle h.7.30, cioè addirittura sino da un’ora prima dell’orario di apertura dell’ambulatorio.

Ma se l’attesa ultra mattiniera era stato un surplus che quella signora si era programmato liberamente, tutti gli altri pazienti non avrebbero mai immaginato di dovere essere ignorati completamente, addirittura anche dopo essere passata l’ora di chiusura dell’ambulatorio. Quando, finalmente allertata proprio dalla impazienza cui si dava voce nel corridoio, la dottoressa si era affacciata dicendo di essere occupata con un ricovero; ciò che aveva lasciato tutti, per quanto attoniti, comunque reattivi nel rappresentare che non aveva senso quella giustificazione perché, se quella prima signora entrata ormai da troppo tempo avesse avuto bisogno di essere ricoverata, a rigore di logica sarebbe occorso che si fosse provveduto a chiamare l’ambulanza del 118. Fra l’altro, poiché attraverso la porta rimasta aperta alle spalle della dottoressa, era stata vista la stessa paziente tranquillamente seduta davanti alla scrivania senza alcuna parvenza di malore, dal corridoio le era stata chiesta conferma della sua necessità di ricovero, essendosi sentiti rispondere che lei era lì per ricette che riguardavano il padre che era già ricoverato in Ospedale.

In seguito alle rimostranze dei pazienti che dicevano apertamente di sentirsi presi in giro, la dottoressa se n’era entrata nuovamente nella stanza, dalla quale, dopo un altro incomprensibile temporeggiare, era uscita mostrando un foglio recante apparente scrittura a mano di un elenco che, confusamente, sembrava intendesse riferire a ricette ancora da compilare. L’unico collegamento che se ne era colto era stato con quell’essersi la farmacista intrattenuta nell’ambulatorio, probabilmente proprio per consegnare al medico tutte le richieste lasciatele dai pazienti, dato che, secondo altro recriminare, il venerdì precedente la dottoressa sarebbe risultata assente.

Però, non essendosene dedotta una valida giustificazione dietro cui si potesse andare a parare, alla dottoressa era stato contestato che certe incombenze non potevano essere a scapito dei pazienti rimasti in vana attesa di un normale avvicendamento mentre, ormai, era passato anche l’orario di chiusura; essendosi ricevuta solo una risposta in base alla quale, con aria di sufficienza, dalla dottoressa era stato comunicato che si sarebbe trattenuta fuori orario, sino al pomeriggio: se avessero voluto, avrebbero potuto attendere, altrimenti potevano andarsene.

Pertanto, data la situazione di intolleranza che stava montando fra gli "spazientiti" sentitisi messi ulteriormente alle strette cui, in maggioranza, non ritenevano di doversi o potersi adeguare, alle h. 10,55 si era fatto appello al 113 rappresentando il disservizio che aveva prevaricato il diritto di pazienti sino allora ignorati. L’unico risultato fu quello di dover “incassare” una risposta negativa relativa all’intervento richiesto, unitamente al consiglio di sporgere denuncia.

A questo punto, evidentemente ritenutasi sfidata nel suo posto di “potere”, la dottoressa aveva adottato un atteggiamento di rivalsa contro la paziente che aveva fatto quella telefonata; anzi, forte di quel suo "potere" incontrastato, avendo cercato persino di strappare dalla mano della signora il tagliandino recante il n.22 di prenotazione, che le era stato mostrato invitandola a decidersi a fornire la prestazione dovuta ai pazienti che stava costringendo a perdere tempo ormai da ore. La dottoressa era quindi passata alla minaccia di ricusazione avendo anche telefonato a qualcuno riferendo il nome della sua paziente cercando di dare ad intendere che dalla stessa le fosse stato interrotto il servizio; in tal modo, essendosi accresciuto il disagio e il rincrescimento nell’avere dovuto vedere una donna-medico spintasi addirittura a tentare una così falsa incolpazione mentre, invece, le si contestava proprio l’omissione del servizio dovuto.

Come se tutto ciò non fosse bastato, perso ormai ogni controllo ed essendosi spostata nella sala di attesa fra i pazienti di un altro medico dove aveva trovato una persona che la dottoressa sapeva appartenere al contesto sociale frequentato dalla sua paziente, avendo finto come casuale la domanda fatta risuonare ad alta voce se qualcuno conoscesse la signora di cui riferiva il nome, con lo stesso tono la etichettava quale persona che, a suo dire, "denunciava i medici" come quello di cui, addirittura, menzionava anche l’identità.

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Quindi, essendo stata raggiunta dalla stessa paziente che le ricordava di essere pagata per un servizio sanitario che esulava dal fare anche indebita propaganda di chi avrebbe dovuto assistere; dopo avere risposto che per un iscritto guadagnava solo due Euro al mese, la dottoressa se ne era andata a cercare qualche "spalleggiamento" essendosi introdotta anche nella stanza del collega dal quale, però, proprio la paziente presa di mira, si era sentita dire che non c’era altra soluzione che quella di cambiare medico, in risposta alla richiesta di un consiglio circa quella situazione che per lei era divenuta addirittura più pregiudizievole di quella in cui anche tutti gli altri pazienti erano stati trascurati.

Comunque, finalmente, la dottoressa si era decisa a rientrare nella sua camera, dove l’aveva seguita una sedicente proprietaria dell’ambulatorio, alla quale si era dovuto fare notare l’inidoneità del suo interferire che, se mai, avrebbe dovuto riguardare il comportamento indicibile e le esternazioni della dottoressa di cui si era propagata l’eco nei corridoi dove era andata girovagando a fare “teatrino” invece di prestare il dovuto servizio ai pazienti, trascurati da ore.

Nel frattempo, alle h. 11,55, era uscita dall’ambulatorio proprio la signora che vi era entrata esattamente due ore prima e si giustificava che non era dipeso da lei l’essere rimasta la prima e l’unica persona ricevuta sino allora, avendo confermato che suo padre, di cui riferiva anche il nome, si trovava ricoverato in Ospedale.

A quel punto, mentre la maggioranza dei pazienti era andata via non avendo accettato la prospettiva di dovere rimanere addirittura sino al pomeriggio; invece, per lo sparuto gruppetto di cinque o sei pazienti risultati con qualche accompagnatore al seguito, ormai era diventato impellente ricevere la prestazione sanitaria per potersene andare via al più presto.

Così, dopo le h. 12 sino almeno alle h.15, quei pochi pazienti erano stati ricevuti dalla dottoressa sembrata essersi ricomposta anche nei confronti della paziente che era rimasta incurante della indebita ricusazione minacciatale.

Anzi, proprio nei confronti di questa signora alla quale aveva voluto dare ugualmente una precedenza che in primo momento si era vista non accettare, l’insistenza della dottoressa era sembrata un tentativo di rimediare in qualche modo al proprio scorretto comportamento; essendo apparsa addirittura in “confusione”.

cms_8424/4.jpgConcludendo una cronaca di non egregia professionalità in un ambito che, come quello medico, non dovrebbe ammettere comportamenti di una eticità così paradossalmente scarsa su cui Ippocrate sarebbe inorridito, si impone anche una profonda riflessione sui troppi "reperti di altra tossica quotidianità" che, purtroppo, si rinvengono in un contesto civico pregiudicato dalla retriva acquiescenza alla ricorrente anarchica prepotenza di ciò che sembra sempre un insanabile medioevo residuato in un certo "stato di fatto" e in certi "modi di fare", sembrando tradita quella discendenza da ultra millenaria tradizione di civiltà magno-greca che, pure, nessuno potrebbe negare nelle vestigia che sembrano tesori negletti, anche se incommensurabili quanto il grande privilegio della stessa cornice naturale dell’avvicendarsi di luminose giornate solari ricorrenti anche in inverno.

Oltretutto, restando altrettanto retriva, e anche più colpevole, la forma mentis secondo cui, non dovendosi attendere neanche un minimo intervento che servirebbe ad arginare il degenerare di certi comportamenti; aldilà di "incassare" e lasciar correre, unica prospettiva sarebbe andare via; anzi, sostanzialmente, fuggire altrove, dove neanche le ricorrenti condizioni atmosferiche impietose possono indurre reale frustrazione in una quotidianità che, sia pure mettendo in conto un possibile sforamento spurio, normalmente sia illuminata dalla civiltà del rispetto di aspettative etiche, essendo imprescindibili in un contesto realmente evoluto.

Rosa Cavallo

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