DALLA “LINEA D’OMBRA” ALLA PAURA DI SCEGLIERE

IL PUNTO IN COMUNE TRA KIERKEGAARD, JOSEPH CONRAD E JOVANOTTI

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Muovere qualche passo sulla sabbia, avvicinarsi alla riva e alzare lo sguardo. Basta solo questo, e il viaggio può iniziare. La vediamo da lontano, inavvicinabile, irraggiungibile. Non sappiamo cosa ci sia al di là, forse non vogliamo neanche saperlo.

Lo scrittore polacco naturalizzato inglese Joseph Conrad la chiama “linea d’ombra” nel romanzo omonimo. Non è soltanto la presa di coscienza del fatto che si sta crescendo, ma è la consapevolezza che si è da soli, indipendenti, contro il mondo.

Un concetto che Jovanotti, nella canzone che prende il titolo dal libro di formazione, esplicita chiaramente: “La linea d’ombra, la nebbia che io vedo a me davanti per la prima volta nella vita mia mi trovo a saper quello che lascio e a non saper immaginar quello che trovo”. Così recitano i primi versi, che si rifanno a un concetto teorizzato molti anni prima che il brano e il libro fossero concepiti.

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Il secolo scorso il filosofo danese Søren Kierkegaard, rigettando i principi di filosofi a lui precedenti e contemporanei, illustrava la sua personale visione della vita: le diverse determinazioni che la vita umana può prendere non sono altro che possibilità che l’uomo si trova dinanzi e tra le quali deve scegliere.

In altre parole, la “linea d’ombra” non sarebbe altro che la personificazione della nostra solitudine, il sottile confine tra lo scegliere e il non scegliere. E ne deriva una sorta di angoscia, determinata da questa totale apertura verso il possibile.

Il pensiero della responsabilità si è fatto grosso, è come dover saltare al di là di un fosso che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato, saltare verso il tempo indefinito dell’essere adulto, di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura: cosa sarò? dove mi condurrà la mia natura?”.

In questi versi è rappresentata magistralmente l’angoscia kierkegaardiana: si rimane bloccati nell’indecisione quando si scopre che tutto è possibile. Fare o non fare? Agire o non agire? Meglio il rimorso oppure il rimpianto?

Domande alle quali è difficile dare una risposta che ci convinca appieno. Perché quando tutto è possibile, sostiene Kierkegaard, è come se niente lo fosse; c’è sempre la possibilità dell’errore, la possibilità di agire con esiti imponderabili.

Al di là di possibili riferimenti storici o religiosi, Conrad mostra un giovane protagonista impegnato in una battaglia introspettiva contro le sue insicurezze, impersonate da un vecchio marinaio. Il mare che li circonda sono le infinite possibilità di scelta, e anche una sola di esse può condurre alla maturità.

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Maturità. Questa è un’altra bella parola. La filosofia kierkegaardiana la interpreta come il momento in cui ci si capacita che la fede è l’unica via per sconfiggere paura e angoscia. Poiché, afferma il danese di Copenaghen, scegliere una possibilità non significa garantirsi il successo per ciò che essa prospetta; de facto una possibilità può sempre venir meno o non realizzarsi, come anche la sua realizzazione è sicura e definitiva.

Sembra un tunnel senza via d’uscita, no? “La vita non è facile ci vuole sacrificio un giorno te ne accorgerai e mi dirai se ho ragione, arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione e adesso è questo giorno”. Ecco, appunto.

Però… sì, c’è un però. Le scelte vanno fatte, volente o nolente. Quando ci troveremo costretti a farne una, ignorando completamente canzoni e concetti kierkegaardiani, sapremo che la maturità più grande è quella di saper prendere decisioni quando arriva il momento.

La paura di scegliere si trasforma in coraggio. Questo ci insegnano Kierkegaard, Conrad e Jovanotti. E, allora, la “linea d’ombra” diventa una “linea di luce”.

Francesco Bulzis

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