DIPENDENZE DIGITALI: GIOVANI SEMPRE PIU’ A RISCHIO

Nel 2015 Manfred Spitzer, dottore in Psichiatria e direttore della Clinica psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm in Germania, pubblicò un libro “Solitudine digitale” (edito in Italia da Corbaccio nel 2016), testo preceduto da un altro intitolato “Demenza digitale”, in cui metteva in guardia dai pericoli incombenti della digitalizzazione della nostra vita. Spitzer in uno dei capitoli del libro, si soffermava anche sulla cyberdipendenza e spiegava in modo diretto e con un linguaggio semplice anche per i non addetti ai lavori, come funziona il sistema di ricompensa del nostro cervello. Partendo da casi studio e studi clinici, Spitzer con tutto l’acume dello studioso tedesco qual è, arrivava a spiegare la dipendenza da videogiochi e di come essa venga attivata proprio agendo sul sistema di ricompensa (si veda la pubblicazione sulla rivista specializzata Nature avvenuta già nel 1998, n.d.r.). Ad attentare alla nostra attenzione e a spingerci ad essere completamente dipendenti delle tecnologie ammoniva Spitzer, non concorrono solo i videogame ma anche la rete, gli smartphone e i social media. Quando Spitzer pubblicò il suo libro, non erano ancora presenti molte ricerche sul tema, ma si cominciava comunque ad argomentare su iniziali tesi scientifiche volte a sollevare quantomeno i primi dubbi e la necessità di colmare la lacuna empirica a riguardo.
Venendo all’attualità, da un recente studio italiano promosso dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto superiore di Sanità (iss), si è potuto apprendere che almeno 100mila adolescenti italiani fra gli 11 e i 17 anni fanno un uso compulsivo e incontrollato di social e piattaforme di streaming (2,5%), e quasi un eguale numero si chiude per mesi in camera attaccato a uno schermo (1,8%). Bisogna poi aggiungere a questi numeri circa 500mila ragazzi, soprattutto maschi, sulla soglia del rischio dipendenza da videogiochi (solo in Italia il tempo medio trascorso su internet si aggira attorno alle 6 ore). La ricerca ha anche coinvolto oltre mille genitori giungendo alla conclusione che il loro ruolo nei confronti delle dipendenze comportamentali dei figli è a dir poco lacunoso: mancanza di comunicazione, carenza nel percepire i comportamenti a rischio, scarsa attenzione alle problematiche legate a qualche forma di dipendenza, atteggiamenti che oscillano tra disinteresse ed eccessiva preoccupazione. Complice forme di malessere derivate dalla lunga stagnazione sociale, economica e politica del Covid e del post-Covid, le forme di dipendenza dalla tecnologia ormai dilagano fra i giovani. I dati raccolti nella ricerca dell’Iss e del Consiglio dei Ministri sono numeri sui quali oggi occorre riflettere seriamente e sollevare ufficialmente l’esistenza di un conclamato rischio di per i giovani e non di dipendenza, uso compulsivo, solitudine, stress e depressione, tutte casistiche già presentate da Spitzer 8 anni fa.
Si pensa spesso che le tecnologie e la continua sollecitazione digitale presente all’interno delle nostre vite, sia una forma di disagio già presente, ormai tollerato e senza molte speranze; ora però rischia patologicamente di esplodere, a causa di una progressiva riduzione della socializzazione, una diminuzione delle relazioni affettive, un forte calo delle esperienze tipiche del percorso di crescita (direbbe Spitzer: «un tablet […] non trasmette una conoscenza “olistica”, non richiede determinate esperienze») e infine per una crescente pressione per la performance, tutti pericoli incombenti sulle nuove genrazioni. Impauriti, timorosi, disorientati, indifesi, bloccati in un eterno presentismo che si spera finalmente si sblocchi per aprire le porte a un futuro più roseo e possibilista, gli adolescenti preferiscono nel frattempo rifugiarsi e simulare esperienze attraverso web, social e videogame. Credere e far credere che una realtà altra è possibile crea e nasconde in molti disillusione, disinganno e spesso si dà poco credito all’esistenza di un mondo fuori dalle catene digitali. Una rinuncia volontaria, un mondo possibile nel quale ritrovarsi, significherebbe avere un’alternativa e non condannarsi ad essere online sempre e comunque. Serve cogliere i segni del disagio, imparare a gestire la noia, non avere timore di rimanere da soli con i propri pensieri perché «chi […] non è vuoto dentro sarà contento del proprio pensiero. E perché ciò accada, è necessaria una buona istruzione».
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