DISCONNESSI E FELICI
Stare fuori dalla rete si può

È il tratto cruciale e il marchio di fabbrica di ogni società che si rispetti, una caratteristica che tende ad abbracciare strati sempre più ampi della popolazione mondiale: l’iperconnessione. Siamo così abituati e ci sentiamo tanto a nostro agio all’interno della comfort zone degli smartphone collegati alla rete che una mancanza di connessione può destabilizzare il nostro animo, farci sentire a disagio, vivere attimi di terrore e di sospensione dal mondo circostante. Ricerche e studi confermano che l’utilizzo intensivo di smartphone, Iphone, tablet rischia di compromettere definitivamente quel poco di empatia rimasta tra le persone, di aumentarne il rischio di benessere psico-fisico e aggravare stati di stress e di ansia, ormai diventati patologie del nuovo secolo e curate a basi di farmaci sempre più richiesti in particolar modo dalla popolazione del mondo occidentale. Abbattere il tiranno dell’iperconnessione è una strada possibile, ma poco percorribile in base proprio alle sirene di benessere fittizio che possono darci uno status di connessione in grado di abbattere limiti spazio-temporali.
Essere always-on non è una modalità permanente e soprattutto non è una forma di imposizione data da una società che vuole dai suoi componenti una perenne attività sugli schermi per rispondere a notifiche e messaggi. La società iperconnessa è composta da luoghi pubblici che hanno perso il loro potenziale sociale, perché continuamente attraversati da individui che concentrano la propria attenzione verso altri luoghi e altri individui (lontani). Come è stato ben definito dalla Turkle «i suoi membri sono soli insieme, ognuno in camera sua, ognuno su un computer connesso a internet o a un dispositivo mobile». È una società ormai condannata alla velocità, e velocità fa rima con comodità. Lo smartphone, responsabile primo di ritmi insopportabili, è l’oggetto che più di ogni altro ha condizionato le nostre vite abbattendo ogni tentativo di flessibilità nella gestione del tempo, sempre più ristretto e cadenzato da logiche digitali. Esperire strade che ci portino ad abbracciare una disconnessione necessaria alla nostra salute, spesso risulta faticoso e di troppo breve durata perché si possa parlare di una strada percorribile dalla maggior parte delle persone. I tentativi, di questo si tratta, si avvicinano a esperimenti accademici o a simulazioni da laboratorio, ovvero a un ambito di ricerca ristretto nell’ottenere risultati utili per qualche pubblicazione scientifica.
Chiedere a un individuo qualunque di disconnettere i suoi device per un certo tempo equivale a chiedergli un sacrificio enorme che molti non sembrano accettare di buon grado anche se inizialmente potrebbe sembrare il contrario, poi subentra ansia e paura di essere tagliati fuori da contesti ormai assunti come aspetti di un’abitudine quotidiana. Disconnettersi allora dovrebbe essere presentata più che come un’imposizione o un esperimento per determinati fini, come una prospettiva, una buona pratica che porta a educare al digitale attraverso percorsi fatti di piccole tappe. Disconnettersi per riflettere, assumere consapevolezza di sé, cambiare l’uso che si fa dell’universo del digitale. Il neo cittadino digitale, forte anche dell’educazione alla cittadinanza digitale ricevuta in ambito scolastico, dovrà acquisire, rispetto ai suoi genitori, una maggiore consapevolezza del web, dei suoi rischi e delle sue potenzialità per creare e gestire un’identità volta alla riconnessione con le altre persone.
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