DONNA FA RIMA CON POLITICA?

IN ITALIA E’ ANCORA UN MIRAGGIO

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Le lotte per l’emancipazione femminile ebbero inizio nella seconda metà dell’ottocento con il movimento delle “Suffragette” e d’allora molta strada è stata fatta, ma molta ancora ne rimane da fare. Negli ultimi governi la quota rosa non è stata mai predominante ed anche con quest’ultimo targato Conte si registra la percentuale più bassa di rappresentanza femminile tra ministri e sottosegretari. Nonostante le ultime leggi approvate per riequilibrare le presenze tra uomini e donne la politica italiana è ancora lontana dall’essere un territorio in cui uomini e donne sono posti sullo stesso piano soprattutto nei Comuni e nelle Regioni che secondo uno studio di Openpolis in Italia a differenza di altri paesi europei si registra solo il quattordici per cento di sindache e solamente due governatrici.

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Nel 2012 la legge n. 215 ha introdotto una serie di misure con l’unico scopo di poter favorire un equilibrio di genere, legge che ha coinvolto tutti i comuni con una popolazione superiore ai cinquemila abitanti e grazie ad essa c’è stato un notevole passo avanti. Infatti nel 2016 le donne elette erano più del quaranta per cento rispetto al 2009 anche nei comuni sotto i cinquemila abitanti che non erano stati direttamente coinvolti dalla normativa. Nonostante tutto in undici regioni su venti gli uomini continuano ad avere un’alta percentuale di elezione, più del settanta per cento. Diversa è la situazione a livello europeo dove nel 2014 con la Legge n. 65 è stata inserita la possibilità di esprimere fino a tre preferenze ma solo di sesso alternato, ma questo meccanismo utilizzato nelle europee del 2014 resta però un esperimento, perciò per le prossime elezioni europee del 2019 sarà integrato con altri correttivi.

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Nel 2014 la percentuale delle donne elette nel Parlamento Europeo è stata circa del quaranta per cento mentre nel parlamento italiano a marzo del 2018 le donne elette sono state cento ottantacinque alla camera e solo ottantasei al senato. Con l’approvazione del “Rosatellum bis”sono state inserite nuove normative sia per i collegi uninominali che per quelli plurinominali, purtroppo le regole sulle quote di genere sono state notevolmente depotenziate dalla possibilità di pluricandidature per cui sono state consentite solamente cinque pluricandidature nei listini, ossia l’assegnazione alla stessa donna di vari posti in posizione eleggibile facendone entrare quindi una sola e favorendo l’entrata degli uomini che la seguono nell’ordine. In questo modo le leggi continuano a tenere “in scacco” le donne che ambiscono ad una carriera politica, leggi che sono fatte su misura per una società in cui dominano ancora modelli maschili.

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Anche nel mondo del lavoro la parità di genere è lontana da venire, perché se è vero che le donne possono accedere a qualunque professione è altrettanto vero che a parità di lavoro e di compiti la retribuzione di una donna è sempre inferiore a quella di un uomo. Nel nostro paese si sta assistendo al sempre più frequente abbandono al mondo del lavoro da parte delle giovani madri che non riescono a conciliare un lavoro impegnativo, ma poco pagato, con le esigenze familiari e con uno Stato totalmente latitante. E’ ancora terribilmente vero che il lavoro femminile rimane quello più sacrificabile, ma al tempo stesso il più impegnativo, il più incisivo, il più competente per qualità di prestazione e ore dedicate. Il Word Economic Forum ha così sentenziato: “se si va avanti così, occorrerà un altro secolo per chiudere il divario globale di genere”.

Anna Di Fonzo

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