DONNE - I^

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cms_22466/0.jpgQuesto articolo sarà uno dei più strani che abbia mai scritto, l’idea è arrivata e io ho cercato di trasportarla in parole, senza offendere o scandalizzare nessuno, il mio intento è quello di comprendere e capire, spero di farcela perché il tema è assai complesso, tratta dell’incomunicabilità fra i sessi, del capovolgimento del genere maschile/femminile, dove il gay e il trans è più dolce e tenero delle donne odierne, in realtà è solo apparenza perché il peculio maschile è la forza fisica, e gay e trans seppur spesso più affascinanti e femminili delle donne, non lo sono, anche se possono ‘generare’ figli, non lo sono, perché la fragilità e la debolezza fisica della donna non la potranno mai avere, non saranno mai come la donna.

Così inizierò dalla Sicilia: “Dicono che la Sicilia somigli all’Africa; certo, somiglia all’Italia solo per l’intensità delle sue passioni. Di tutti i sentimenti, l’amore è quello che ha maggior bisogno di ozio. Per i siciliani si può dire davvero che non esiste parola impossibile quando l’amore e l’odio li accendono; e l’odio, in questa terra felice, non nasce mai da questioni di denaro” (International Web Post/Antonello Di Carlo), per approdare alla Romagna, terra sanguigna, terra di non mezze misure, dove un tempo l’amore e la politica si accendevano col coltello, terra di uomini rudi e donne coi pantaloni ma ben attente a sembrare di portare le gonne. “La stoffa della razza romagnola è fra le migliori che si conoscano. Ha nelle vene sangue, e non crema alla vaniglia e quando c’è sangue se ne può cavar del buono” (Massimo D’Azeglio)

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Endimione - Antonio Canova

“Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza”, una frase estratta da: “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello. Per questa mia narrazione, sul tema di una probabile verità che pare impossibile acchiappare, metto in testa il berretto con tutti i suoi campanellini scaramantici, quelli del nostro amato Pascoli, finissimi sistri d’argento, (tintinni a invisibili porte/che forse non s’aprono più?…);e c’era quel pianto di morte…chiù… Inizio da molto lontano, dalla Sicilia per arrivare alle antiche fonti romane nell’entroterra romagnolo di Fratta Terme, antichissime fonti, tanto antiche che ne scrive Plinio il Vecchio, tanto antiche che una leggenda racconta che Enea e gli altri fuggitivi dall’incendio di Troia, approdarono non sulle coste tirreniche ma su quelle adriatiche, arrivando alla meta ovvero al suolo della futura Roma, attraversando l’entroterra, costruendo vari insediamenti tra cui Casticciano Fratta.

Anche questa potrebbe essere una probabile verità, ma torniamo a Pirandello, non vi sto ad elencare vita e opere perché sarebbe tedioso e molto lungo, ma qualcosa devo pur scrivervi. Pirandello studia al Regio Liceo Classico di Palermo, intitolato ad Empedocle il filosofo delle 4 radici: aria, terra, fuoco, acqua, unite dall’amore, separate dall’odio, la nascita e la morte, apparenti nascite e apparenti morti, non si crea e non si distrugge, ma è solo continua trasformazione questo dice Empedocle nel V secolo a. C. da Agrigento, l’antica Agragante dal fiume Agras o dal nome di un semidio, Agrigentum per i Romani, Kerkent o Gergent per gli Arabi, Girgenti per i Normanni, la terra dei Templi dei Giganti: “Quando le parti dell’Amore che sono i ‘demoni’ si riuniscono nell’unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l’influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio” (Denis O’Brien, Empedocle, La sapienza greca).

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Paolina Borghese- Antonio Canova

Successivamente Pirandello si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma, dove ha un violento alterco con un docente, così si trasferisce a Bonn dove nel 1891 si laurea con una tesi sul dialetto di Agrigento. Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867, da una famiglia borghese, progressista e danarosa, proprietaria di una miniera di zolfo, questa benedetta o maledetta miniera di zolfo, se la sposò, nel senso che nel 1894 impalmò la figlia del socio d’affari del padre, Antonietta Portulano, un’unione ‘combinata’ che causò un sacco di spiacevoli imprevisti, un matrimonio come tanti, senza stelline, senza affinità elettive, Antonietta non era certamente Ottilia. Scrive di lei Pirandello poco tempo dopo le nozze… Ella finora m’accontenta fisicamente, mi par molto simpatica, se non del tutto bella. In quanto al morale, scorgo che è molto buona e dell’impronta nostra: poca esperienza, ma ha contegno e prudente compostezza. Nel 1903 un allagamento distrusse la miniera di zolfo nella quale erano stati investiti tutti i beni della famiglia, anche la dote della moglie la quale, già sofferente di nervi, era ossessionata dai presunti tradimenti del marito, si ammalò gravemente, squilibrandosi completamente, a tal punto che venne internata in un manicomio.

Penso che Pirandello abbia avuto non pochi sensi di colpa.

Tuttavia i tradimenti ipotetici o meno derivavano dal fatto che Antonietta ‘sentiva’ che Pirandello non l’amava, le voleva bene, ma non era Ottilia, mentre per Antonietta, Pirandello, era il suo Edoardo. Ottilia ed Edoardo sono i due personaggi centrali del romanzo Le Affinità Elettive di Goethe che si amano intensamente con un desiderio impossibile da reprimere, accenno una breve trama per chi non lo avesse letto. Il romanzo è ambientato in un luogo idilliaco, qui, Edoardo e Carlotta, dopo varie traversie vivono felici e appagati e innamorati, non vogliono nessuno intorno, vogliono stare soli nella loro bella villa nobiliare. Edoardo invita un suo amico, il Capitano, che è in difficoltà, così arriva anche Ottilia, nipote amatissima di Carlotta, che vive in collegio, chissà magari si formerà una nuova coppia felice come sono Edoardo e Carlotta. Succede invece che Edoardo venga travolto da un amore ricambiato e folle per Ottilia, lo stesso accade al Capitano e a Carlotta ma in modo più ragionevole e soft. In un attimo tutto si infrange, l’amore di Ottilia ed Edoardo è dirompente, al di là di ogni confine, al di là della morte. Dopo la tragica morte di Ottone, il bimbo con gli occhi di Ottilia e le fattezze del Capitano perché nato da un amplesso fra Edoardo e Carlotta, mentre ognuno dei due pensava di fare all’amore, l’uno con Ottilia, l’altra col Capitano, Ottilia si lascerà morire di fame, Edoardo devastato farà la stessa cosa, i due verranno sepolti l’uno accanto all’altra da Carlotta e dal Capitano, che invece coroneranno il loro sogno d’amore, perché il loro desiderio era più debole, meno infuocato e folle di quello di Ottilia ed Edoardo.

C’è una frase di Pirandello che ci fa capire che il nostro grande italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934, aveva compreso tutto: «La pazzia di mia moglie sono io».

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Amore e Psiche- Antonio Canova

Nel 1891 ritornò a Roma, come docente, l’insegnamento gli pesava enormemente, la sua aspirazione sarebbe stata quella di ritirarsi in campagna, forse anelava alla mitica Arcadia, ma i soldi erano svaniti e gli toccò il duro lavoro della media borghesia. Non posso non citare il suo grande talento letterario incentrato su novelle e romanzi, sul tema dell’identità, delle innumerevoli maschere che ognuno indossa sino a non sapere più chi è, sul suo tragico e amaro umorismo e sulla rivoluzione effettuata nel teatro, dove appare geniale e assurdo dove tutto accade e non accade, dove è probabile o improbabile, un teatro alienato, questo ultimo termine Pirandello lo conosceva a menadito, meglio di uno psicologo o di uno psichiatra. Ci addentriamo ora in un femminicidio, visto che oggi è un tema attuale anche se penso che basterebbe il termine delitto coi vari attributi di genere, caso, ecc. Nel 1912 Pirandello scrive in dialetto siciliano, “La verità”, un racconto contenuto in Novelle per un anno. La novella narra della vicenda di Saru Argentu, chiamato Tararà, accusato di aver ucciso sua moglie per adulterio. Tararà perso l’onore, non aveva altro che quello, ritorna a casa dal lavoro, prende l’accetta e sfonda la testa alla moglie. Tararà è un povero garzone analfabeta che si spacca la schiena dalla mattina presto sino a tarda sera, ammette la sua colpa e va al processo vestito bene di panno turchino col fazzoletto nuovo, rosso a fiori gialli che stende sulla panca per non impolverare l’abito nuovo; Tararà nella sua innocente ‘bestialità’ più volte durante il processo suscita le risa degli astanti, pure il giudice ride della sua semplicità e della sua ignoranza. L’avvocato d’ufficio gli aveva detto che sarebbe stato assolto perché a quel tempo il codice penale prevedeva la possibilità di essere assolti, per i delitti d’onore, in quanto era considerato reato per la donna il semplice adulterio.

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Perseo trionfante- Antonio Canova

Tararà convinto di aver fatto quello che era giusto fare, non capendo cosa volessero da lui, decide di dire la verità, lui non ha ucciso la moglie preso dall’impulso, dalla rabbia del momento, per averla trovata sul fatto, spiega che sapeva che la moglie andava a letto con il cavalier Fiorìca, spiega che non ha compiuto il delitto per il tradimento in sé, bensì a causa dello scandalo voluto dalla moglie del Fiorìca che ha reso pubblico ciò che doveva restare nascosto, secondo Tararà è lei che ha causato tutto, solo per orgoglio ferito, solo per sé stessa offesa e umiliata dal tradimento del marito non con un’altra signora ma con una bifolca, spiega Tararà che a volte anche chi è abituato al pane bianco, fragrante e profumato può aver voglia di provare anche il pane secco e nero e tutti a ridere e Tararà confuso dopo la sua sincerità invece di essere assolto viene condannato a tredici anni di reclusione. “Umoristica” questa feroce novella dove la prima vittima è la moglie di Tararà che magari andava col ‘padrone’ controvoglia come accadeva un tempo con la ius primae noctisa, martire anche di un’ingiusta legge di adulterio, la seconda vittima è Tararà, suddito di un Governo che riteneva le persone come bestie, senza istruzione, senza dignità, senza possibilità. (Teniamoci ben caro l’Articolo 3 della nostra Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese). Del pubblico al processo, dei loro risolini, chiacchiere e commenti ‘pertinenti’, del Fiorìca e della moglie è meglio tacere, perché sussiste tutt’oggi questo inquietante comportamento che causa guazzabuglio senza chiarire i motivi dell’odierna incomprensione uomo/donna e una specie di replica dei delitti, che siano i neuroni a specchio? Oppure un ribaltamento di ruoli millenari?

(continua)

Paola Tassinari

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