Da quel balcone dei miei ricordi: Matera

Da quel balcone dei miei ricordi, quello che dava in via San Biagio, di fronte la Chiesa di San Giovanni, ricordo che vedevo passare, fiero ed impettito, l’usciere del Conservatorio con la sua bella divisa nera e il suo cappello da Capitano, non ricordo come si chiamasse, lo chiamavano tutti quanti “L’ammiraglio” e quando lui passava bello, alto ed impettito, quando andava a lavorare, la mattina presto, tutti quanti lo salutavano “Buongiorno Ammiraglio, buongiorno Ammiraglio”.
Da quel balcone dei miei ricordi vedevo passare quella bambina con il grembiule nero, con la faccia scura e i capelli neri e, il fiocco sempre in disordine, che andava a prendere il latte per la nonna da una famiglia di allevatori più avanti, sotto l’arco di San Rocco, portandosi dietro un gran bottiglione.
Da quel balcone dei miei ricordi vedo ancora passare Livia, una ragazza ormai donna che per la cattiveria della gente e la violenza degli uomini era finita in bocca a tanta gente ma che quando passava, truccatissima, rivolgendosi a quelle donne che la guardavano con disdegno, diceva loro che non era da meno. Livia, al contrario, con i bambini era dolcissima ed era di un gran cuore d’oro.
Da quel balcone dei miei ricordi sento ancora i ragazzi giocare, tirando su le monetine sul marciapiede, cercando di centrare il centro della mattonella con le cento lire, il gioco dello “spaccachiant”, passavano il tempo così i ragazzi, non c’era nient’altro in giro. Poi ricordo passare quel signore anziano con il bastone che lamentava sempre di non poter respirare e i bambini che lo prendevano in giro soprannominandolo “Non posso respirare, non posso sfiatare”.
Da quel balcone ricordo l’ospedale difronte, l’ospedale San Rocco, i bambini che si affacciavano quando passava la banda della “ammazza gatti”, dello “scannaiatt”. Ritornavano dopo aver fatto le prove e andavano verso la cantina de “Panza a credenza”, la cantina del mangiare a credenza, mangiare e pagare dopo, a debito: è una cantina dove servivano del pane, del vino, del pesce, delle alici e delle sarde arrosto alla brace scavate nel tufo nelle grotte.
Da quel balcone vedo ancora passare la processione dei Santi Medici che usciva fuori dalla chiesa di San Giovanni, vedo tutti i balconi addobbati con le coperte migliori, le coperte di seta in onore dei Santi e tutte le persone, i fedeli con le candele accese in processione.
Invece dall’altro balcone, quello dell’altra parte della piazza, quello che dava sui Sassi vedo difronte in alto, lo vedo ancora, il Castello del Conte Tramontano, sulla sinistra la Cattedrale e sotto tutti i Sassi e la loro bellezza.
Sento ancora la signora Brunetta che stende i panni cantando, vedo la mia amica Lina, giù, sotto alle prime case dei Sassi, affacciata a giocare e, l’altra mia amica Gilda, nel balcone a sinistra, con cui chiacchieravo volentieri.
Vedo uscire fuori una vecchia signora, tanto anziana ma che ancora loro chiamavano tutti “La bella giovane”, madre di tredici figli e nonna di non so quanti nipoti. “La bella giovane” riverita e rispettata da tutti perché in passato le persone anziane erano rispettate e riverite per la loro età e per la loro saggezza.
Da quel balcone sui Sassi vedo ancora la neve sui Sassi, vedo la bellezza dei Sassi ed ancora oggi mi sento scendere lacrime salate sulle mie guance e, rivedo ancora quei posti, ora che nei miei occhi c’è solo il buio e non vedo più.
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