E’ nato un partito!

Di Maio, incalzato dalle critiche piovute dagli eurodemolitori del Movimento (sulla carta tutti) all’indomani della “scelta” di convolare con il gruppo ultraeuropeista di Alde, aveva parlato apertamente di “scelta tecnica”, commentando che poi avrebbero votato come gli pareva. Con queste premesse non ci si può sorprendere che il leader di Alde, Guy Verhofstadt, abbia ritirato la proposta per l’ingresso nel suo gruppo dei deputati dei 5 stelle. Lo schiaffo (ben meritato perché diretto a chi sfacciatamente dice che appena ti sposa ti tradisce), è però il dato meno interessante.
Premetto che credo nel buono che traspare netto dallo spirito del Movimento, ma alcune cose vanno sottolineate per prendere atto, analizzando ciò che ha preceduto l’epilogo, di come questo Movimento abbia definitivamente mutato pelle, nei fatti, diventando un partito a tutto tondo. Il momento doveva giungere ed è arrivato, solenne e sfacciato. Il potere logora chi non ce l’ha, diceva qualcuno, e i 5 stelle si sono logorati abbastanza quando non lo avevano, quando erano un semplice “Movimento”, quando potevano permettersi di rimproverare a tutto il sistema la mancanza di quelle regole draconiane da loro codificate e applicate a sé stessi per dare il buon esempio a chiunque. Una volta entrati in Parlamento, nelle amministrazioni locali, nelle spirali europee, ecco che quelle stesse regole hanno iniziato a subire, diciamo così, degli “aggiustamenti”. Un poco di Machiavelli in politica è inevitabile, come il sale nell’acqua per cuocere la pasta asciutta. E i “movimenti”, di conseguenza, si trasformano in partiti perché il potere non è altro che “amministrare”, o almeno tentare di farlo, e per questo servono i partiti. Le prime avvisaglie della necessità di rivedere il codice interno si è avvertita quando i primi sindaci pentastellati si sono insediati nelle realtà di minore risalto mediatico e sono stati coinvolti in inchieste giudiziarie. Esautorazioni a raffica, per dimostrare quanto fossero diversi da tutti. Ma il malcontento interno era forte, seppur sedato dal carisma del lider maximo.
Con la giunta Raggi si è posto il problema nella sua totale drammaticità, poiché si è compreso che il coinvolgimento in inchieste giudiziarie non equivale a responsabilità storiche consacrate in sentenze passate in giudicato (che spesso non corrispondono tra loro) e che tali coinvolgimenti, variamente declinati, sono purtroppo una costante di chiunque si avvicini a gestire la cosa pubblica, poiché deve fare i conti con un sistema che è fatto come è fatto. Non si può pretendere di frequentare per necessità ambienti ambigui senza suscitare l’interesse di qualche solerte P.M. che voglia far chiarezza con ciò che i codici gli consentono.
Ecco allora che il codice (quello dei 5 stelle) è cambiato, e improvvisamente l’avviso di garanzia non è più visto come il marchio indelebile dell’infamia insopportabile. Bisogna valutare caso per caso. Bene, la cosa pare ragionevole, ma si avvicina più al modo di pensare ortodosso, politichese, cioè lontano dall’anima del Movimento. Dunque la metamorfosi si è compiuta, con il principio di realtà che impone le sue regole (queste sì non aggirabili), e trasforma idee allo stato puro in adattamenti per governare l’esistente. Nasce così il partito tradizionale, alla ricerca di un modo per sopravvivere ai rigori dei propri buoni propositi ed alla perenne ricerca di alleanze necessarie per vincere.
La riprova è stata proprio nelle mosse a livello europeo delle ultime ore, dove dal radicalismo contro l’Europa consacrato dall’appartenenza al gruppo Efdd, si è passati al tentativo di apparentamento con più blanda critica costruttiva dei liberali di Alde. Bene anche questa mossa (al di là di come è andata), perché non pare utile perseguire l’obiettivo di mandare tutto all’aria senza tentare di modificare ciò che non va in Europa, cioè di salvare il bimbo mentre si getta l’acqua. Ma anche questo è lontano dallo spirito del Movimento. Già, dimenticavo ancora, stiamo parlando di un partito, ormai. È facile prevedere che seguiranno altri profondi mutamenti.
Il primo sarà quello di rivedere la regola secondo cui i parlamentari, dopo due mandati, dovrebbero tornare forzosamente comuni cittadini, cioè proprio quando l’esperienza maturata dovrebbe averli resi migliori dopo le goffaggini iniziali a cui proprio i 5 stelle ci hanno abituati. Il secondo sarà quello di rinunciare alla rinuncia di “metà dello stipendio”, sia perché è bene che il parlamentare sia libero dal bisogno e dalla preoccupazione del proprio futuro, sia perché il cittadino vuole che faccia cose buone e utili, non che abbia lo stipendio più basso di tanti inutili burocrati.
L’altro mutamento sarà quello di ridurre, almeno ai fini della “consultazione”, l’importanza della rete, perché è chiaro che gli “internetauti” pentastellati seguono comunque le indicazioni di Grillo. A proposito di lui, forse l’ultimo mutamento dovrebbe essere nel nome del partito, che potrebbe chiamarsi semplicemente con il suo nome, perché è chiaro che, senza di lui, il partito semplicemente non c’è. E questo pone il vero problema dei partiti che si identificano troppo con il loro leader: il futuro. Che scopriremo solo vivendo.
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