ENZO GRAVANTE: L’ELOQUENTE SILENZIO

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Enzo Gravante nasce come giornalista professionista, lavorando per ben ventisei anni come inviato di cultura e spettacolo.

Fin da ragazzo si appassiona alla musica afroamericana - in particolar modo al Jazz - che coltiva ed affina negli anni attraverso lo studio, la ricerca e, beninteso, l’ascolto dei dischi. Questo bagaglio culturale gli tornerà utile quando, divenuto adulto, farà della sua passione un lavoro, traducendo in parole l’emozione di un suono o di un swing.

Nel 2004 scrive un libro sul trombettista Paolo Fresu: una lunga intervista di oltre trecento pagine dove si evince non soltanto la sua passione per quel mondo musicale, ma anche la vena artistica che lo muove.

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Enzo Gravante

Lavorando per diversi quotidiani prima, e come freelance dopo, avverte l’esigenza istintiva di trasmutare in colore l’emozione vissuta a un concerto o durante un’intervista. E lo fa con la spontaneità di chi, non avendo studiato arte, poco si preoccupa del segno quanto, piuttosto, dell’impatto emotivo. Il tratto è infantile, quasi una reminiscenza del “bambino interiore” che si sbraccia per emergere. I colori sono forti, come i sentimenti che gli si aggrovigliano dentro.

Enzo Gravante pittore nasce così: non come professionista ma come essere un umano che asseconda un ineluttabile bisogno personale.

Dalla penna al pennello. Anzi, entrambe, perché porta avanti per anni, da “ambidestro”, tutte e due le sue passioni.

Fino al 2006, quando accade l’inimmaginabile.

“Quell’anno mio padre si è ammalato e ho dovuto farmi carico di questa situazione che mi ha sfiancato tanto fisicamente quanto mentalmente - racconta. Mi sono trovato obbligato a prendere il cosiddetto anno sabbatico, innanzitutto per far fronte all’impegno familiare ma anche per riflettere sulla mia professione, che non avvertivo più calzante come un tempo.”

Lui, che sentiva l’esigenza di essere uno spirito libero, di raccontare di pancia le emozioni vissute, si sentiva stretto nelle scarpe del cronista “asettico” e senza sentimenti. Abituato a fermare la gente per strada per chiederle cosa realmente pensasse, non si trovava a suo agio nel “copia e incolla” che la velocità e la superficialità del mondo moderno, impone. Così quando, dopo un anno, si riaffaccia al mondo del lavoro, notando che la situazione è addirittura peggiorata, ripensa alle parole del giornalista e inviato del Corriere della Sera, Ettore Mo: “In una casa dove sei stato il padrone non puoi fare il cameriere.”

Questa frase illuminante fa da spartiacque e, se pur con dolore, Enzo Gravante decide di ascoltare se stesso e di buttarsi in una nuova avventura.

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“Something”, tecnica mista su carta cotone indiana fatta a mano - by Enzo Gravante

Inizia così a creare ex novo questa sua identità artistica prendendo dimestichezza, passo dopo passo, con l’arte pittorica. Non soltanto dal punto di vista del disegno e del colore, ma anche del messaggio. Poi inizia a prendere contatto con le Gallerie d’arte e a mostrare al pubblico i suoi lavori.

Il passaggio da giornalista a pittore può sembrare un gran salto ma la verità è che sono due modi differenti di esprimere la stessa cosa: ciò che si vede e ciò che si percepisce. Una semplificazione dell’espressione che va di pari passo con quella interiore. Enzo Gravante non ha mai smesso di essere giornalista, è soltanto passato dalla carta alla tela e dal verbo al colore.

I primi lavori, realizzati sull’onda dell’entusiasmo e delle emozioni, sono “scarabocchi” veloci fissati su fogli di carta volanti che testimoniano il bisogno impellente di dare vita a un qualcosa che è ormai pronto a nascere. O, addirittura, sono una reminiscenza ancestrale dell’Enzo Gravante che fu, e che vuole prepotentemente tornare.

Nasce, quindi, Zeno Travegan (anagramma di Enzo Gravante), il pittore, il bambino, il sensitivo.

In queste prime opere, un po’ fumettistiche e infantili, Enzo si rivede bambino, quando si approcciava con curiosità ed entusiasmo alle sue prime creazioni artistiche. Senza programmi e senza veli, con l’unica intenzione di gioire del tratto e del colore. Fa la sua prima mostra, con queste opere, nel 1996.

Il passaggio all’astratto avviene in maniera totalmente spontanea, come risposta ad una dimensione a lui congeniale. Riscontra, tuttavia, che il pubblico poco comprende questo linguaggio criptico, benché potente. La società moderna ci ha abituati a vedere le cose già bell’e pronte, senza coinvolgimenti emotivi e sforzi interpretativi. Così nel 2006, parallelamente alle opere astratte, inizia a comporre scene di pesci danzanti che si trasformano, nel tempo, nelle ormai famose ACCIUGHE.

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“Something”, tecnica mista su cartoncino vintage - by Enzo Gravante

Enzo Gravante inizia a dipingere i pesci partendo dall’idea del silenzio come argine ai fiumi di parole - spesso inutili - che caratterizzano la società moderna. Questo ciclo nasce dal profondo rispetto che l’artista nutre per il mare e i suoi abitanti, ma anche per la naturale evoluzione dal linguaggio verbale a quello non verbale. È l’esigenza del silenzio che lo porta ad identificarlo con i pesci, creature dinamiche e meravigliosamente espressive che, tuttavia, non necessitano di alcun genere di chiacchiericcio per esprimere se stesse. Attraverso di loro, Enzo intuisce la potenza comunicativa del silenzio - non del mutismo - che si trasforma in una danza di gioia dai mille colori. Unico sentimento che l’autentico silenzio ammette e concepisce.

Il tema delle acciughe è l’ultimo nato della sua fase pittorica. Le acciughe, con i loro colori cangianti e i movimenti repentini, rappresentano proprio questa sovrabbondanza di felicità che appartiene solo a chi, istintivamente, sa che vivere significa “ESSERE”.

È facile rappresentarsi un banco di sardine che si muovono tra i flutti del mare, quasi danzassero sulle note di un invisibile spartito. Una danza ritmica e improvvisata, proprio come la musica Jazz.

Ecco perché, a un certo punto, l’artista decide di dipingerle su spartiti d’epoca, unendo l’antica passione per la musica con l’esigenza del silenzio. E si sa, il silenzio conta in musica!

Occupandomi di spiritualità da tanti anni, posso affermare che il silenzio è la più alta forma di comunicazione. Esso non nasce dall’assenza di parole ma dal loro debordare. Il punto è che non riescono a trovare sfogo perché ci sono delle cose, dei concetti e delle emozioni che sono in esprimibili. Quindi possono manifestarsi soltanto attraverso la contemplazione.

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“Anciue dancing in the music”, tecnica mista su spartito del ’700 applicato su tavola - by Enzo Gravante

Ma oltre a questo c’è un altro elemento molto importante che va sottolineato: l’ACQUA.

L’acqua ci porta in una dimensione completamente diversa dall’elemento aria, nel quale la parola si muove. Sott’acqua la gravità è differente, e questo crea un movimento “forzatamente” ritmico che riguarda non soltanto il pesce ma anche l’acqua stessa. Perché quando il pesce crea un’onda con un colpo di pinna, l’acqua glielo restituisce creandone un’altra. Ecco che la musica silenziosa del fondale marino non è più un assolo, ma diventa un’orchestra o, quanto meno, un duo.

Inoltre l’elemento acqua è molto interessante anche dal punto di vista pittorico e simbolico.

“Il rifiuto delle parole è ovviamente un gesto volutamente provocatorio - spiega l’artista. Ho dei quadri intitolati NO WORDS proprio per contrastare l’eccesso di parole di cui, la televisione, è un esempio. È tutto un urlare che spesso scivola nel ridicolo. Il pesce è nato da queste esigenze perché, proprio per il suo mutismo e la sua dignità, può essere da esempio agli umani che vivono solo di parole, parolone e parolacce. Certo, le parole sono importanti, perché sono un veicolo per gli essere umani, ma il silenzio non è da meno.”

Il silenzio non esclude la parola ma la sublima. Tutti abbiamo fatto l’esperienza di quanto povere siano le parole di fronte a un sentimento talmente potente da togliere - letteralmente - il fiato. Il pesce non parla, non ha voce: è pura essenza. Non esprime concetti, li vive. Non argomenta, dimostra. E danza.

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“Stop Words”, tecnica mista su carta da pacchi intelata - by Enzo Gravante

La CARTA è un altro elemento fondamentale per Enzo Gravante. Che si tratti di uno spartito antico o di una carta d’epoca, essa rievoca il legame mai reciso con la professione giornalistica. È il cordone ombelicale che, inconsciamente, non ha mai potuto o voluto abbandonare.

Ci sono dunque questi vari riferimenti che si intersecano tra loro, come il vecchio e il nuovo, la musica e il ritmo, il passato e il presente.

Ma ciò che più conta è la trasmutazione dell’anima che, non negando ciò che è stato, nobilita il passato riconoscendolo come esperienza. Evolversi non significa rinnegare ciò che si è stati; al contrario, tutto questo “materiale” assume valore, come un’antica gemma incastonata in un gioiello nuovo.

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L’intervista che segue è stata realizzata da Simona HeArt per la rubrica “Sguardi sull’arte contemporanea con Simona HeArt”. L’articolo è pubblicato su “International Web Post”.

#sguardisullartecontemporaneaconsimonaheart #simonaheart

Contatti di Enzo Gravante:

enzo.gravante62@gmail.com

IG: gravante_ conremporary_art

Simona HeArt

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