Elezioni Iran
Delusione dei riformisti

Le ultime elezioni politiche in Iran non sono state altro che il frutto della politica di pressione esercitata dall’amministrazione Trump, che ha eroso i rapporti che si erano stentatamente costruiti tra i due paesi, sulla spinta degli accordi tra l’ala moderata iraniana, guidata dall’attuale presidente Rohuani, e la precedente amministrazione Obama, circa la questione del nucleare. Il malcontento popolare, scaturito dall’impennata dell’inflazione al 33% e da un arresto della crescita economica, che risulta crollata di sei punti percentuali, è da riportare alle sanzioni sul settore petrolifero e bancario, afflitte all’Iran in seguito alla ritirata degli States dall’accordo sul nucleare. Il risultato per il rinnovo dei parlamentari in Iran, conferma quanto previsto alla vigilia delle elezioni, ovvero una transizione verso la frangia più conservatrice e radicale dell’establishment iraniano.
Personaggio di punta, Mohammad Bagher Qalibaf, ex generale dei Pasdaran ed ex sindaco di Teheran, che sarebbe stato designato come possibile candidato alle prossime presidenziali, per succedere ad Hassan Rohani. Spiccano anche le cifre degli astenuti; le stime testimoniano un’affluenza misera, solo 1/3 degli aventi diritto infatti, si sarebbero recati alle urne. Ai conservatori andranno almeno 221 seggi su 290. Soltanto 16 i seggi (tutti di Theran), invece, andati ai riformisti, mentre alle minoranze religiose spettano cinque seggi (ebrei, zoroastriani, un seggio condiviso per assiri e caldei, due per gli armeni). La crisi di legittimazione e la sfiducia nelle attuali istituzioni riformiste è un sentimento radicato soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, deluse dalle promesse sbandierate nella campagna elettorale del 2013 e poi infrante, circa le politiche verdi.
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