FOCUS D-MONDO

Una luce in fondo al tunnel?

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Dad sì o Dad no? Ovvero: quando la didattica in presenza può trasformarsi in problema? Quali strategie adottare per far sì che non lo diventi?

Vi ricordate la canzone vice-vincitrice del Festival di Sanremo ‘96, La terra dei cachi, di Elio e le Storie Tese? Canticchiandola, e riflettendo in questi ultimi giorni sulle questioni relative alla cosiddetta didattica a distanza, non poteva che sorgere spontanea la domanda: “DAD si o DAD no?”.

Senza soffermarmi troppo sui discorsi legati alle criticità delle lezioni on line, credo sia opportuno trattare la questione anche dall’altro lato della medaglia: quando la didattica in presenza può trasformarsi in problema? Quali strategie adottare per far sì che non lo diventi?

Così, in questo periodo di sospensione delle lezioni che vedono l’attivazione (parziale o totale) della didattica digitale integrata, diventa complesso per i docenti avanzare delle proposte che siano adeguate anche per gli studenti con disabilità, rispettando quindi la prerogativa di una piena inclusione scolastica.

cms_21301/2v.jpgCome si legge sul portale “La tecnica della scuola”, la nota del ministero dell’Istruzione dello scorso 5 novembre specifica che è possibile garantire tale peculiarità “attraverso l’attivazione di tutte le forme di raccordo e collaborazione possibili con gli altri enti responsabili del loro successo formativo […] per tutti i contesti ove si svolga attività in DDI, deve essere richiamato il principio fondamentale della garanzia della frequenza in presenza per gli alunni con disabilità”.

E che dire del fatto che molte scuole siano rimaste aperte in via esclusiva per questi alunni e per i loro insegnanti di sostegno? É una situazione paradossale che ha sollevato non poche polemiche. Addirittura, c’è chi grida al ritorno delle “famigerate” scuole speciali! Posso dire che, avendone frequentate tante (dalle classi differenziali a quelle post legge 517 del 1977), questa è certamente una posizione estrema.

Ma come ci spiega Dario Ianes, professore universitario di Pedagogia e Didattica Speciale e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, si tratta di una scelta che rivela “una visione a tunnel”.

Come è possibile vedere la luce in fondo a questo tunnel?

Continua Ianes, in una intervista per Redattore Sociale: “[…] nelle situazioni di chiusura, alcune categorie di alunni dovrebbero avere la priorità nella presenza in classe, per esempio anche coloro che hanno i genitori medici o infermieri. Si può creare insomma un gruppo misto di studenti che entrano a scuola […]. Quello che però dobbiamo salvaguardare e rispettare è il principio fondamentale dell’inclusione: l’eterogeneità”.

cms_21301/3v.jpgUn’altra soluzione che ritengo estremamente valida è quella della “cordata degli alunni”, avanzata dall’Università di Bolzano, nel corso di Pedagogia dell’Inclusione secondo la quale i ragazzi, alcuni in presenza e altri a distanza, possono cooperare condividendo informazioni e materiali.

Qualora sia l’insegnante di sostegno a dover supportare l’alunno in difficoltà presso il proprio domicilio, è fondamentale che questa figura diventi un “ponte” tra il contesto familiare e scolastico, e che quindi attraverso le proprie competenze renda fruibili allo studente e ai suoi familiari le tecnologie assistive impiegate nella DDI, mantenendo una linea educativa comune con gli altri docenti. n altre parole, l’insegnante di sostegno non deve diventare riferimento esclusivo ed escludente l’alunno/a con disabilità.

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Secondo voi, dunque, quali sono i pro e i contro di ambo i lati della medaglia?

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(fonte: https://www.superabile.it/cs/superabile/tempo-libero/inchiostro/20210105-imprudente-luce-tunnel.html?fbclid=IwAR32X8n3JJ2syycnoHOqAAUmbbNWVkRCkgXAc7eWrulOz8Fgly6RhQA9Ln4)

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Claudio Imprudente

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