FOCUS D-MONDO
Disabilità rivoluzionarie
Rispetto al nostro lavoro di formatori ed educatori, qual è la scintilla che ci fa “esplodere”, rendendoci protagonisti di un cambiamento?
Qualche giorno fa, a lavoro insieme ai colleghi del Centro Documentazione Handicap di Bologna, ho avuto modo di elaborare e condividere importanti spunti di riflessione in seguito alla visione di un film documentario, dal titolo Crip Camp: disabilità rivoluzionarie (2020), diretto da Jim LeBrecht e Nicole Newnhan.
Tutto è iniziato da una constatazione rispetto al nostro lavoro di formatori ed educatori, rivolto alle scuole e a tutte quelle realtà che operano in ambito sociale e culturale.
Dunque, qual è la scintilla che ci fa “esplodere”, rendendoci protagonisti di un cambiamento?
E ancora: in passato sono esistite nel mondo esperienze simili alla nostra realtà, mosse dallo stesso nostro desiderio di attivismo?
La risposta è affermativa ed è riconducibile alle vicende di Camp Jened, un campo estivo nelle vicinanze di New York, nato agli inizi degli anni Settanta che accoglieva persone con e senza disabilità.
Nella prima parte del documentario, alcune persone riprendono con una videocamera scorci di vita all’interno del camping, intervistandone i membri su vari argomenti: come vengono trattati dal mondo esterno, il diritto alla privacy, le relazioni affettive, il rapporto con la sessualità.
Sicuramente, un aspetto interessante che emerge, è la mancanza di una struttura gerarchica – nel film si fa riferimento ad una piramide al cui vertice ci sono i poliomielitici (considerati i “più normali”) e all’ultimo gradino le persone affette da paralisi cerebrali.
A Camp Jened, invece, tutte e tutti, a prescindere dalle proprie caratteristiche e differenze, sono alla “pari”: non ci sono assistenti e/o educatori, non ci sono figure professionali da una parte e utenti dall’altra.
Questo presuppone il rispetto della persona, al di là di ogni disabilità, e uno slancio verso l’altro – costante, reciproco, e mai unilaterale – una responsabilità condivisa che è il fulcro di ogni relazione.
Viene poi affrontata un’altra questione importante, ossia il discorso sulle discriminazioni multiple: uno degli intervistati spiega che fuori dal campeggio persone nere e persone con disabilità erano costrette a subire gli stessi sguardi “fissi” e discriminanti. Pertanto, la vicinanza degli appartenenti ad altre categorie discriminate era talmente forte da indurli a lottare per una causa comune.
Ma facendo un passo indietro: qual è la scintilla che spinge gli ospiti di Camp Jened a battersi per una legislazione che riconosca i diritti civili delle persone con disabilità? A lottare per una maggiore accessibilità nei luoghi pubblici e nelle città in generale?
Sicuramente il fatto che un’alternativa, una prospettiva – come quella di Camp Jened - che si arricchisce di uno sguardo diverso da quello imposto dalla società ordinaria, è possibile, solo se chi ha avuto modo di viverlo, ha la volontà di renderlo conoscibile a tutti, e fruibile in vari modi, ad esempio, col dialogo, e se necessario, manifestando e opponendosi alle autorità politiche.
Esistono diverse forme di attivismo, ma si tratta comunque di “scintille” multiformi e necessarie, se vogliamo che le buone intenzioni diventino buone prassi.
Questo spirito da “protagonisti del cambiamento” contraddistingue tante realtà che operano in ambito educativo e socio-culturale, come il CDH e il gruppo educativo “Progetto Calamaio”.
Senza questa consapevolezza, il nostro lavoro di educatori e formatori non avrebbe senso.
E voi, sapete dirmi che forma ha la vostra scintilla?
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