FOTOGRAFIA E CULTURA PARTECIPATIVA NELL’ERA DELLA BULIMIA DELLE IMMAGINI

La fotografia nel nuovo panorama digitale che ha avvolto l’intero pianeta della comunicazione globale, ha perso ciò che Benjamin definì aura, il magnetismo, la sacralità propria di un mezzo capace di preservare un valore di memoria e di autentica testimonianza del vissuto di una persona. Il rapido avvento della fotografia digitale e la conseguente annessione al pianeta dei social network, ha confermato la piena democratizzazione partecipativa della fotografia e effettiva moltiplicazione delle immagini in quel vortice di overload che ne ha sancito la definitiva svolta iconica. C’è un prima e un dopo nella storia della fotografia, il prima è rappresentato da tutti coloro i quali giravamo con macchine fotografiche via via sempre più piccole pronti a immortalare bellezze turistiche e architettoniche o per rubare qualche scatto da pubblicare su qualche rivista o giornale. L’uso era insomma delimitato a determinate circostanze ludico creative e strettamente professionali.
Il post della fotografia (inteso come il dopo, l’epoca successiva, ma anche la pratica del pubblicare su bacheche social i propri scatti) arriva nei primi anni del XXI secolo allorquando la fotografia perde definitivamente la sua aura e il suo status symbol e intraprende una svolta iconica che fa sì che l’obiettivo fotografico posto all’interno di ogni smartphone o Iphone trasformi chiunque in un potenziale fotografo di sé, degli altri e degli eventi che lo circonda. La macchina fotografica perde la sua connotazione materiale che la vedeva intrappolata in un dato macchinario e viene inglobata nella fattispecie multimediale dei nostri smartphone come plus delle aziende di elettronica. Il passaggio e l’integrazione in uno degli oggetti più diffusi al mondo, il cellulare, ha fatto sì che la fotografia allargasse sia i suoi orizzonti semantici sia le sue capacità di apparato memoriale e capacità testimoniale, una capacità della fotografia peculiare di una tracciabilità digitale dell’esistente in una continua pratica che si insinua a cavallo tra pubblico e privato. La digitalizzazione ha permesso di produrre immagini per così dire semplificate per incontrare il vasto pubblico dei social network. Ciò che rimane della cultura cosiddetta analogica rappresenta una nicchia di cosiddetti puristi dell’immagine fotografica che si dedicano con passione e una pinta di nostalgia a continuare a sviluppare le foto secondo modalità appartenenti a epoche che oggi sembrano lontane anni luce. Siamo entrati da circa 15 anni in un’epoca di completa mobilità e portabilità dei nostri dispositivi elettronici e delle conseguenti pratiche fotografiche.
L’immagine incontra fatalmente i social network in quella che Jenkins ha chiamato cultura convergente, e la conseguenza è l’esplosione di piattaforme di condivisione e di distribuzione dei contenuti che permettono l’istantaneità di invio e accesso alle immagini trasmesse. Filesharing e usg (User Generated Content) hanno stabilito le coordinate per definire ogni utente come produttore diretto di contenuti, e ha nello stesso tempo sancito la nascita della cultura altamente partecipativa della nostra epoca, affermando nuove forme mediali di trasmissione dei contenuti stessi come per esempio la crossmedialità. La profezia di Jenkins che affermava che ogni individuo sarebbe diventato egli stesso medium, in quanto autonomo nella produzione e distribuzione dei contenuti, sembra essersi definitivamente affermata. Siamo una platea vastissima sedotta dal fascino della continua esposizione al giudizio degli altri, affascinata dall’interazione social attraverso l’uso smodato delle piattaforme digitali, un panorama che ci rende inevitabilmente esaltati protagonisti in zone d’azione in cui l’autonomia creativa e di diffusione di contenuti la fanno da padrone.
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.