FUGA IN EGITTO
Arte e Spiritualità

Vi presento «Fuga in Egitto», opera di Annibale Carracci del 1604 circa e conservata oggi nella Galleria Doria Pamphilj di Roma.
Fratello di Agostino e cugino di Ludovico, Annibale è la figura più prestigiosa della famiglia Carracci. Operante a Bologna tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, attuò un rinnovamento della pittura italiana dopo la parentesi del periodo manierista, con il ritorno alla natura e alla storia attraverso lo studio dal vero e attraverso la rimeditazione dell’opera dei grandi maestri del passato; un altro principio di particolare importanza era portare l’arte a correggere la volgarità e gli errori della natura attraverso le idee, raggiunte con l’immaginazione. Insieme agli altri componenti della famiglia fonda un’Accademia a Bologna che diffonderà questi principi tra un discreto numero di promettenti allievi.
Annibale, nella «Fuga in Egitto» della Galleria Pamphilj, propone una nuova concezione del paesaggio che avrà enormi sviluppi nella tradizione del classicismo europeo: fino a questo momento, il paesaggio era stato relegato al ruolo secondario di semplice sfondo a scene di maggiore importanza; in questo caso invece, Annibale crea un nuovo rapporto tra natura e storia facendo diventare il paesaggio protagonista indiscusso e nobile contesto che accoglie la famiglia di Nazareth in fuga verso l’Egitto. Maria con il Bambino in braccio e l’anziano Giuseppe che conduce l’asinello, mezzo di trasporto degli umili, sono in cammino; non ci sono nella scena elementi soprannaturali, come spesso avveniva nelle rappresentazioni di questo tema. Molti dettagli sottolineano che il gruppo ha ormai raggiunto la meta desiderata e quindi anche la salvezza dalla collera di Erode che cercava il Bambino per ucciderlo: la famiglia ha appena attraversato il fiume che segna il confine e viene accolta nella terra da una coppia di colombe, simbolo di pace. Il paesaggio, con i suoi colori tenui, sorride illuminato da una luce leggermente velata dalle nubi che attraversano il cielo; gli uccelli che volano a stormi contribuiscono al generale clima gioioso e primaverile; sullo sfondo si vede una città fortificata, da cui esce un corso d’acqua, posta a delineare i confini territoriali tra i regni; una cupola all’interno del centro urbano richiama la mole del Pantheon di Roma. Lontano si intravedono dei personaggi accompagnati da cammelli, che alludono all’Egitto, terra di esilio per la famiglia in fuga dalla Palestina.
La presenza del barcaiolo rimanda al ruolo di colui che traghetta le anime verso un luogo di pace e di salvezza e quindi potrebbe essere immagine dello stesso Gesù, che Maria tiene in braccio. Lui, mediatore tra Dio e l’uomo, ha scelto di incarnarsi per raggiungere ogni creatura nella sua debolezza e fragilità. Il Bambino che Maria porta in braccio risulta essere allora Colui che può ridonare speranza all’uomo ferito dal male e in fuga da Dio e da sé stesso; il gregge, invece, condotto a dissetarsi al fiume, è immagine di ogni uomo guidato verso la fede in un Potere superiore che dona salvezza e che disseta.
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