Fantastichini e le liste di attesa

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E’ oltremodo elegante come patologia tant’è che il cinema si rivolge a “Lei “quando intende straziare i cuori dello spettatore avido di sensazioni forti: è la Leucemia.

Sick movie, così si chiama il sottogenere del filone sentimentale che per location contempla ospedali e viaggi della speranza, per sceneggiatura, amori spezzati dall’infausta notizia della malattia, e per musiche, le note più strazianti che un pentagramma possa raccogliere, così, giusto per amplificare il greve messaggio che non deve lasciare indifferente neanche lo spettatore più distratto.

E poi la lotta contro il tempo, quella si che è una costante che non manca mai. Un chiodo fissato nella ferita del dolore che ti ricorda minuto per minuto che la clessidra della tua vita è stata girata per l’ultima volta.

Questo è il cinema, di cui Ennio Fantastichini era un degno rappresentante. Un artista istrionico, capace di calcare la scena senza temere che il suo personaggio dovesse condividere con alcuno il successo.

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Nel mondo reale, quando sopraggiunge “Lei”, tutto quello che rappresenti e che hai costruito nella vita diventa una fonte di frustrazione: ti esamini, ripercorri ogni minuto di quelli trascorsi, cerchi di comprendere in cosa hai sbagliato; tu che eri immortale, che il senso della malattia manco ti sfiorava in quanto prerogativa riservata solo agli altri.

E poi non sei più un nome ma diventi un protocollo perché nella casistica della remota possibilità di contrarre la malattia, tu hai vinto la lotteria, quella che mai avresti desiderato vincere.

C’è un momento in cui, dopo lo smarrimento iniziale e anni di battaglie ed esami clinici, impari a convivere con “Lei” anzi, non la temi, non ti fa più paura.

Diventa una compagna silente della tua nuova vita, quasi l’accogli con malcelata serenità, proprio come si fa quando, una sommessa rassegnazione, pensi possa metterti al riparo dalla sua ira vendicativa.

E poi arriva Ennio, e come lui tanti, bambini soprattutto, che ti risvegliano drammaticamente da un torpore, quello che fino a quel momento è stata la tua coperta di Linus, il caldo riparo al freddo pensiero della morte.

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Non conoscevo Ennio Fantastichini se non attraverso lo schermo ed i suoi carismatici personaggi, per poi scoprire, in un sabato pomeriggio di spensieratezza, che come me, come tanti, era in lista di attesa.

E ogni volta che un Fantastichini ci lascia è come ricevere un pugno allo stomaco, come una sveglia al torpore dell’assuefazione alla malattia, l’infinita tristezza al pensiero della solitudine che sopraggiunge nel momento in cui si realizza la percezione della fine.

A tutti gli Ennio del mondo confido la mia più grande stima: in un mondo in cui lasciamo che la costante della precarietà condizioni le nostre scelte e la nostra esistenza, per alcuni di noi può essere liberatorio essere precari nella precarietà, affrancandoci dal pesante fardello delle aspettative.

Anime libere e sospese, e non è detto, magari camperemo cent’anni, e allora si che avremo vinto la lotteria, quella di aver vissuto ogni singolo giorno come se fosse l’ultimo.

Maria Cristina Negro

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