GIORNATA INTERNAZIONALE DI RIFLESSIONE

RWANDA, ANCORA BUIO SULLO SCONTRO TRIBALE CHE ORMAI E’ STORIA

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La Giornata Internazionale di Riflessione, che si celebra il 7 aprile, è stata istituita dalle Nazioni Unite per ricordare l’inizio del genocidio Tutsi del Rwanda. Questa commemorazione dovrebbe farci riflettere sull’uso sconsiderato delle armi, e sull’inutilità di ogni guerra. Sebbene acquistare un’arma possa sembrare utile per garantirci la legittima difesa, in alcune parti del mondo è così facile da farci sentire quasi autorizzati ad usarla in maniera compulsiva.

Oggi è possibile comprare un’arma anche online. Ciò è vero specialmente negli Stati Uniti e in Yemen, Paesi che si collocano rispettivamente al primo e secondo posto nella classifica del possesso di armi da fuoco. In Australia è necessario dimostrarne l’effettiva utilità, con l’obbligo di frequentare i poligono di tiro; similmente in Canada, dove è anche previsto il superamento di vari test. In Italia per acquistare un’arma da fuoco serve il porto d’armi, e la denuncia della detenzione va esposta alla questura. Da questi pochi elementi, possiamo dedurre come non sussista un grande controllo sul commercio delle armi, considerando pertanto che non siamo al sicuro noi, così come non lo è il mondo.

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In Rwanda, dove nel 1994 è iniziato il conflitto fra Tutsi e Hutu, le armi sono state raccolte e acquisite con estrema facilità. E’ stato possibile ottenere i fucili AK47 richiedendoli mediante la compilazione di un semplice modulo; le granate, invece, sono state elargite direttamente dal governo.

L’attacco fra Tutsi e Hutu sembrava fosse esploso all’improvviso, come se le tribù avessero preso d’assalto le capanne e, impugnati i machetepangos, avessero dato inizio alla rivolta. Invece i machete e i bastoni chiodati provenivano dalla Cina, e altre armi da fuoco dalla Francia.

Ma è risaputo che l’odio fra le due popolazioni africane risalisse al lontano 1926, da un retaggio coloniale del Belgio, fondato sulla differenza del loro aspetto fisico. I Tutsi rispetto agli Hutu sono di pelle più chiara, con lineamenti del volto e il naso più sottili, e più alti di statura.

Sono trascorsi 24 anni, ma il genocidio compiuto dagli estremisti africani non è ancora diventato patrimonio comune. Quanto accaduto fornisce punti di domanda ancora irrisolti e molte perplessità. La Francia ha la propria fetta di responsabilità, avendo appoggiato il governo in mano agli estremisti genocidi, addestrando milizie e proteggendo i criminali. Pare che anche l’ONU abbia giocato un ruolo importante nel fornire armi al regime. L’Italia entra in scena da figurante: si prepara dapprima con una milizia di un centinaio di uomini, che avrebbero dovuto affiancare i caschi blu, subito fermati dal nostro governo, probabilmente. L’ex presidente François Mitterrand, alla fine delle danze, applica i sigilli a tutti gli incartamenti, che saranno aperti nel 2020. Forse presto avremo delle risposte, e potremo appurare come si siano realmente svolti i fatti.

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L’interrogativo che, a questo punto, sorge spontaneo riguarda Paul Kagame: il presidente della Rwanda è un paladino o un assassino? Nell’elenco di domande senza risposta ci sono anche le parole mai dette di tutti i Paesi d’Occidente rimasti inermi a guardare le scene insanguinate di questa triste rappresentazione teatrale.

Il conflitto ha una durata di 100 giorni e si conclude per beneficio della missione umanitaria Torquoise, voluta dalla Francia di concerto con le Nazioni Unite.

E’ ovvio che si sarebbe potuto evitare questo massacro, in virtù del fatto che sarebbero stati sufficienti un minimo di rinforzi per fermare l’eccidio.

In Italia si conta un numero considerevole di rifugiati ruandesi. Sono persone oneste, di carattere mite. I giovani studiano, gli adulti hanno un lavoro e una casa. Gente tranquilla, che osserva le regole. Sono cristiani e frequentano le nostre chiese. Coloro che hanno vissuto il massacro avvenuto tra fratelli restano in silenzio. Certo non hanno dimenticato, ma confidano in quella giustizia secondo cui “tutti dovranno rispondere dei loro crimini davanti a Dio” (Karol Wojtyla).

Susy Tolomeo

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