GIOVANNI TOMMASINI E IL RISCATTO DELLA LETTERATURA

Invito alla lettura

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Ama definirsi come uno “scrittore per caso” Giovanni Tommasini. “Scrittore per caso” dal 2013, per l’esattezza. Sicuramente non è uno scrittore qualunque a giudicare dalla risonanza che hanno ottenuto tutti suoi libri le cui narrazioni seguono indistintamente le orme di tematiche sociali e civili, soprattutto in merito alla “costruzione di una relazione d’aiuto”. Per Giovanni Tommasini l’impegno sociale è una mission non casuale. Sanremese, classe 1966, dopo la laurea in scienze politiche conseguita all’università di Genova, ha dedicato la sua vita portando aiuto nei contesti più bisognosi della società. Educatore e seminarista iscritto all’albo professionale e inizialmente impegnato come collaboratore nei consultori familiari di quartiere in qualità di assistente domiciliare, dal 1994 è educatore nei centri diurni e nelle case famiglia della Cooperativa Genova Integrazione, a marchio Anffas. Le sue esperienze professionali maturate sul campo ne fanno una voce autorevole per comprendere il panorama dei mali che affliggono le tante realtà sociali del nostro tempo.

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Nei suoi seminari, propone dibattiti e laboratori su autismo, scrittura emotiva, dipendenza da internet, cultura sportiva e nuove generazioni. È autore di diversi libri, tra i quali notevoli sono i saggi "Papà mi connetti?", "Il virus siamo noi", "Emozioni e parole. La scrittura emotiva", "L’ultima lettera alla mia prima fidanzata". Sono felice di accogliere i contributi di Giovanni Tommasini: settimanalmente saranno un prezioso arricchimento per la Pagina della Cultura. Nelle parole scritte dall’editor Alessio Callegari per la collana "Pagine d’amore per mio figlio" una sintesi l’unicità dell’opera dello scrittore che ne motiva il suo essere un caso oggetto di grande interesse nel panorama letterario. (Antonella Giordano)

GIOVANNI E IL RISCATTO DELLA LETTERATURA

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Alessio Callegari, editor per la collana "Pagina d’amore d’amore per mio figlio"

Nessuno sceglie quando venire al mondo.

Così come nessuno decide quando lasciarlo.

È possibile che, lungo il sentiero della propria vita, si possano raccogliere, nel cestello del proprio vissuto, tutte quelle esperienze che, una volta poste in esame sopra un tavolo al ritorno a casa, si rivelano per quella cardinalità che è tipica delle parabole, delle favole antiche e degli insegnamenti, coniati da un senso profondo del quale è impossibile scorgere il fondo?

È una domanda antica e permeante, soffusa e spietata, che intercede qualsiasi pensiero non appena lo scrivano, in qualunque parte del mondo esso si trovi, si segga sulla sua seggiola ed abbia modo di impugnare la penna.

Quanto è fattibile la misurazione del loro riverbero effettivo? La vibrazione innestata avrà una valenza a lungo gettito?

Verrà ascoltata?

Può davvero, la singola esperienza vissuta e respirata nell’intimo, protrarsi oltre la bolla dell’individuale ed andare ad influenzare concretamente il mondo altrui?

È su queste basi che, al primo acchito, il nuovo lettore si approccia a Giovanni Tommasini; perché la medesima domanda, di riflesso, se la pone soprattutto lui, cliente finale: quanto ha peso il testo che leggerò? Mi fornirà quelle soluzioni a cui tendenzialmente punto, quando attingo ad un’opera letteraria, artistica, scientifica, comunque modellata dall’uomo?

Perché è inevitabile affermarlo: l’essere umano è alla assidua ricerca del proprio simile, ovunque esso sia; in modo costante, instancabile, seguendo quel flusso spesso e non misurabile, infinito come il tempo, dettato dal suo stesso istinto recondito. E l’opera d’arte, etimologicamente ideata e gestita dalle braccia, costituisce, senza dubbio fatto, l’agente artificiale di un pensiero, di un concetto immesso dall’Altro; un canale di comunicazione espresso ed inserito nella realtà.

Una liberazione, come riterrebbe Tommasini.

Perché il cammino che ha portato l’autore al compimento della pentalogia che reggete fra le mani, non è avvenuto in un contesto regolare e ovattato, fra muri intonacati di rosa, punteggiati da quadri con riposanti paesaggi agricoli, innanzi ad uno scrittoio di mogano orlato di bordi antiurto e la sicurezza di un paio di imposte sigillate ed un termosifone acceso: Giovanni, educatore di una casa famiglia nel primo entroterra genovese che ha vissuto la propria città fin da bambino nel suo cuore più fibroso e reale, è, a tutti gli effetti, un sopravvissuto. Intellettuale, verrebbe da aggettivare.

Nato dalla parte nascosta dell’utero, sfociò dal corpo di sua madre come una spiazzante sorpresa; “peloso” e “irrequieto”, espresse ben presto la sua impreparazione al soggiorno su questo mondo mordendo e pestando, rispondendo a tono e chiudendo con tonfi secchi i libri di scuola.

“Ingestibile!”, “Particolare!”. Le insegnanti gli affiliarono un profilo da somaro tale che permisero al padre, dirigente di banca, di mantenere, assieme alla anaffettiva madre, un trattamento esclusivo nei suoi confronti non comunque dissimile da quello che già utilizzava nei giorni buoni. E mentre la sorella stava a guardare, strane voci iniziavano a circolare sulla testa del fratello gemello...

E intanto, oltre il balcone, l’immensa spianata di Sanremo.

Saranno le sue strade, con le loro connessioni, a regalare finalmente giustizia alla pena di Giovanni; un parcheggio inutilizzato, delle mazze da baseball ed un gruppo scanzonato di amici. Basterà poco, perché la vitalità ed il vigore del Giovanni preadolescente riesplodano in una vampata vivace e stuzzicante: una divisa rosso fiammante, due coraggiosi allenatori con un piano infallibile e la scritta “TOMATO”; ed anche Sanremo avrà la sua nuova, seppur inconsapevole, squadra di baseball: sono i Tomato Baseball Club. Inconsapevoli, perché nella loro tenera età, non possono certo immaginare i destini a cui andranno incontro di lì ad un paio di anni…

Incontri e sfide, meteo permettendo. Fino a quell’ultimo, improvviso, deflagrante tuono finale, che squarcerà il campo al culmine della partita; quando la salivazione è a mille, le guance sporche di terra ed i capelli, indisciplinati, entrano negli occhi.

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Ma niente paura: tutti per uno, uno per tutti. E mentre ridondano i primi colori ed estetismi degli anni 80, Giovanni, nell’esplorare pian piano le gioie della pubertà, scopre d’improvviso l’abbraccio attanagliante dell’amore, restandone abbagliato... Potrà la vita donargli la felicità a cui ha sempre anelato?

Ci penserà il piccolo Cesare, maestro d’orchestra dei muri, ad insegnargli, bacchetta in mano, quella melodia inascoltata dettata dai silenzi; la mancanza, un ponte con l’esterno da costruire da zero, gli abbracci stretti e quegli infiniti giri in moto.

“Reggiti a me”.

L’università costa, ma il prezzo pagato per coprirlo varrà infiniti dottorati.

Giovanni è un uomo alto, preciso, a modo e dalle dita inquiete. Il suo sguardo, lievemente corrugato da una tacita consapevolezza, cela una malinconia pudica e riservata, mantenuta nell’interiore come uno zainetto chiuso e sistemato sulla schiena, che si può aprire solo con il consenso del proprietario.

Perché malgrado tutto, Giovanni non può non essere definito un artista: le letture i suoi viaggi più belli; i libri, i suoi amici migliori.

“La carta è paziente” sussurrava Anne Frank dal retro casa ove si nascondeva, nella Amsterdam scandagliata dalla Gestapo dei primi anni 40. “Cara Kitty, sospira per me”.

E la carta è stata paziente anche con Tommasini: il suo richiamo, prorompente e luminoso, ha interrotto quello cupo e minaccioso delle voci dell’infanzia, agguantandolo persino durante la coda del supermercato, ma salvando, nel contempo, la sua stessa coscienza e mantenendolo saldo, leale, sincero e oltremodo coraggioso.

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Tommasini è riuscito ad incarnare al meglio la natura stessa della scrittura, arrivando a bucare, nel silenzio dell’atto stesso, quella membrana sensibile che, nella veglia – qui intesa come non scrittura – ci divide dalla visione profonda e nucleica degli oggetti stessi, elevandoli senza sforzo – o, si nota in lettura, addirittura accorgimento alcuno – a livelli basilari e comprensibili a tutti; dunque universali.

E nella fiducia verso l’amore a cui tutti tendiamo, ha arrotondato le proprie vicissitudini a misura di metafora, per poi indirizzarle, in un moto di genuina protettività paterna, verso il figlioletto. sotto forma di lettere.

Senza edulcorare, nel contempo, la propria identità personale.

Perché malgrado i calli alle mani, le avversità incontrate nella vita e le guance sporche di fango, Giovanni ha sempre saputo rialzarsi con il sorriso sulle labbra, esplicando, con le sue azioni, una proprietà tipica degli artisti e che li rende effettivamente tali: la resilienza.

La piccola Anne, combattente invisibile nella sua fittizia retrovia, voltata di spalle contro il muro scriveva: “Tutto si può perdere: i soldi, la bellezza, la gioventù... Ma la gioia che hai nel cuore, quella non te la potrà togliere nessuno; e per tutta la vita, tornerà a renderti felice”.

La collana "PAGINE D’AMORE PER MIO FIGLIO"

link:

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Alessio Callegari

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