GLADIO (Prima parte)

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Italia, fine della seconda guerra mondiale. Il nazismo sconfitto non ha prodotto una nuova consapevolezza globale, e la volontà di pace, affermata diverse volte dai vincitori del conflitto. In realtà è solo un momento di pausa necessario a raccogliere le forze per stabilire nuovi confini e dettare nuove regole. Da una parte l’occidente, con gli angloamericani preoccupati di un nuovo colonialismo di stampo sovietico in Europa, e dall’altra l’Unione Sovietica, forte dell’avversità al nazismo in senso politico vero e proprio. Nel mezzo tutte le nazioni sopravvissute, a caro prezzo, ad una devastazione socio economica senza precedenti, vincitori e vinti uniti dallo spettro della fame, della nuova certezza che le guerre, da quel momento in poi, non sarebbero state più solo di confine. In Italia, dove la resistenza ebbe tra i protagonisti anche le formazioni partigiane, era in atto una sorta di conflitto civile sotterraneo, che divideva i sostenitori del comunismo da quelli della democrazia. Patto di Varsavia contro Nato. E proprio la Nato, l’organizzazione di difesa occidentale, in seguito all’eccidio di Porzus e ad altri fatti in cui era emersa la volontà del P.C.I. di ricevere l’appoggio dell’U.R.S.S., si trovò costretta a creare una rete di sorveglianza semi uficiale, denominata “stay behind”. Si trattava di formazioni, inserite segretamente nelle Forze Armate Italiane, pronte a rispondere, in caso di necessità, al richiamo dei più alti vertici militari occidentali.

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Qualcosa di simile era stato organizzato già dai nazisti, che non dando per scoperta una vittoria sul fronte bellico avevano organizzato una rete di agenti dormienti, ma anche questa organizzazione venne scoperta solo molti anni dopo la fine del conflitto globale. Per quanto riguarda l’Italia, poiché il pericolo maggiore veniva dalla confinante Jugoslavia, si pensò di adottare quanto era stato disposto con la formazione dell’organizzazione “O”, una particolare struttura militare, derivante dalla Brigata Partigiana non comunista “Osoppo”, la quale si era assunta il compito di tenere d’occhio le mosse degli slavi, pronta ad intervenire in caso di invasione o di mancato rispetto dei confini. Sulla scorta di questa esperienza dunque, vennero costituite 5 unità di pronto intervento tattico, prime linee di difesa in grado di arginare temporaneamente qualsiasi tentativo di forzatura dei confini, in attesa di interventi militari di maggior entità. 5 unità per 5 punti strategici, la “Stella Alpina” operante in Friuli, la “Stella Marina” radicata a Trieste, la “Rododendro” per il Trentino Alto Adige, la “Azalea” in Veneto e la “Ginestra” in Lombardia. Non si trattava di semplici unità di combattenti pronti ad imbracciare il fucile, bensì di una vera e propria macchina operativa, alle dipendenze del S.I.F.A.R., il Servizio Informazioni Forze Armate, il servizio segreto militare italiano, attivo dal 1949, che aveva preso il posto del disciolto S.I.M., servizio informazioni militare. La “stay behind” risultava divisa in 40 nuclei, a loro volta suddivisi in 6 informativi, 10 rivolti al sabotaggio, 6 per la propaganda silenziosa, 6 finalizzati all’evasione ed alla fuga di eventuali membri catturati, 12 esperti in guerriglia. Ma, poiché ogni nucleo andava comunque ricomposto in caso di necessità, vennero approntati anche 5 nuclei di pronto intervento, per le situazioni di contenimento immediato.

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Ovviamente la struttura andava resa invisibile, seppur inserita nei comparti delle Forze Armate, perciò vennero concepiti 3 livelli di operatività: il primo era composto da persone radicate sul territorio, insospettabili e pertanto non individuabili ad una prima indagine o ispezione; il secondo era formato da unità per la guerriglia, diremmo ora terroristiche, pronte ad innescare situazioni di pericolo in territorio nemico, al fine di destabilizzare e distrarre le forze avversarie; il terzo invece di gestione delle unità, il livello più segreto di tutti, i cui componenti erano ignoti anche a chi stava al livello più basso, e di cui, ancora oggi, si ignorano i nomi. Ovviamente le strutture di questo tipo non esistevano solo in Italia, e non erano state organizzate solo dagli occidentali, la guerra fredda era all’inizio, e la cortina di ferro stava per essere alzata su tutta l’Europa. Per quanto riguarda le forze gestite dalla Nato sono stati trovati riscontri alla loro esistenza anche in Svizzera, nome in codice “P26”, in Austria le “OWSGV”, in Belgio le “SDRA8”, in Danimarca le “Absalone”, in Germania le “TDBJD”, in Lussemburgo “Stay Behind”, nei Paesi Bassi le “I&O2”, in Norvegia “ROC” ed in Grecia “LOK”, in Turchia “Contro Guerriglia, in Portogallo “Aginter”. Per quanto riguarda Francia, Finlandia,Spagna e Svezia, si sa che esistevano le strutture, rimangono ignoti i nomi. Ma la nebbia si sta diradando.

Paolo Varese

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