GLI ARCHETIPI

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Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa parola: ARCHETIPO.

È un termine ormai d’uso in psicologia, grazie a Carl Gustav Jung ma il concetto è molto più antico.

Vediamo anzitutto cosa significa, dal punto di vista etimologico.

Il termine latino archety̆pum,deriva del grecoὰρχέτυπος, ovvero: arché, “inizio, principio originario” e typos, “modello, marchio”.

Ne consegue che la parola ARCHETIPO racchiude il concetto di MATRICE di un concetto, di una forma. Insomma, di un primo modello.

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In quanto “primo modello” esprime l’idea di origine, non tanto nel senso di inizio quanto, piuttosto, di provenienza.

L’archetipo è una sorta di ricordo ancestrale comune a tutta l’umanità. Un simbolo universale e universalmente riconosciuto da tutti, in ogni luogo e in ogni tempo. Per questo costituisce quella che Jung chiamerà l’inconscio collettivo. L’archetipo è dunque l’«immagine primordiale» dell’inconscio collettivo, ovvero l’idea originale che genera sé stessa.

Possiamo dire che gli archetipi sono le “fondamenta” sulle quali si erge “l’edificio ESSERE UMANO”, in quanto contengono il punto di origine di qualsiasi impulso che l’uomo vive e manifesta attraverso il suo pensare, sentire ed agire. Sono il linguaggio dell’anima.

Ho accennato al SIMBOLO.

L’archetipo è un simbolo. In quanto tale, lo troviamo ovunque, in particolar modo nelle Religioni e nelle Arti.

Esso è come un seme: non è ancora la pianta che diverrà, ma ne contiene l’impulso. E quando questo impulso si sarà realizzato, darà luogo ad ulteriori manifestazioni che saranno, a loro volta, altrettanti simboli.

Ciò che va sottolineato è che l’archetipo, essendo un simbolo universale senza spazio né tempo, rimane incontaminato. Esso evolve nella forma per essere compreso dall’uomo nel corso del tempo, ma il suo significato non muta.

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Integrandosi con la coscienza umana, gli archetipi vengono rielaborati continuamente e, come spiega Carl Gustav Jung, «spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche».

Pensiamo ai Tarocchi.

Come ho già spiegato in un articolo precedente dedicato a questo tema, i Tarocchi sono delle icone, degli archetipi che ci parlano attraverso un linguaggio che abbiamo dimenticato: i SIMBOLI. Pensiamo, in modo particolare, agli Arcani Maggiori.

La lettura dei Tarocchi è una pratica che affonda le proprie radici nell’inconscio collettivo, permettendoci di approcciare in maniera non verbale i lati reconditi della nostra personalità. Si tratta, fondamentalmente, di una pratica di autoconoscenza che ci permette di accedere ad una maggiore consapevolezza di noi stessi.

Quanto all’inconscio collettivo, di cui tanto parla Jung, cosa possiamo dire?

Esso è quella parte di noi stessi che ci collega gli uni agli altri. È un mistico cordone ombelicale attraverso il quale viaggiano informazioni sotto forma, per l’appunto, di archetipi.

Non essendo legati al linguaggio verbale, nel loro manifestarsi vanno dritti alla nostra parte inconscia, risvegliando le memorie ancestrali che, benché sopite, sono ancora in grado di riconoscerli.

Leggere o farsi leggere i Tarocchi, quindi, non ha nulla a che vedere con la magia; al contrario, è una pratica efficace per dialogare con l’anima, con il nostro sé profondo.

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I Tarocchi

Carl Gustav Jung così li descrive: “Sono immagini psicologiche, simboli con cui si gioca, come l’inconscio sembra giocare con i suoi contenuti. Esse si combinano in certi modi e le differenti combinazioni corrispondono al gioioso sviluppo degli eventi nella storia dell’umanità”.

Per scendere un po’ più nel dettaglio, diciamo che Jung afferma che gli archetipi sono dei simboli innati dell’inconscio di ogni essere umano e che si trasmettono per via ereditaria. Una sorta di “forma universale del pensiero” che lui chiama INCONSCIO COLLETTIVO, per distinguerlo da quello personale caratterizzato, invece, dall’esperienza del singolo.

Gli archetipi junghiani più importanti sono:

  • il SÉ, ovvero la personalità dell’individuo;
  • l’OMBRA, il lato oscuro, cioè l’inconscio dell’uomo;
  • l’ANIMA, ovvero il lato femminile dell’uomo, così come l’ANIMUS è il lato maschile della donna.

Filone d’Alessandria, vissuto a cavallo della venuta di Cristo, considera archetipo come l’immagine di Dio nell’uomo.

Nel “Corpus Hermeticum”, raccolta di scritti filosofico-religiosi del II-III secolo d.C. attribuiti ad Ermete Trimegisto, Dio è chiamato la “luce archetipica”.

È quindi palese il collegamento, fin dall’antichità, del legame tra uomo e uomo e tra l’umanità e Dio attraverso gli archetipi.

Simona HeArt

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