Giustizia e dignità per il dolore dei parenti delle vittime.

Adele Chiello: “quella sciagura poteva e doveva essere evitata”.

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Autorevoli ed influenti lobby di armatori navali, oggi hanno paura, tremano e cercano d’insabbiare, di nascondere occultando, ogni cosa, il più possibile. Ormai il loro stato tremante dura dalla notte del 7 maggio 2013, quando, nel porto di Genova, la Torre Piloti urtata dalla poppa della Jolly Nero (un rattoppato e mal galleggiante mercantile deteriorato e difettoso) s’è frantumata, inghiottendo vite di innocenti dei lavoratori che operavano sulla stessa torre. Queste potenti lobby spadroneggiano a Genova e hanno larghi appoggi con certa stampa con loro collusa.

cms_736/mamma-tusa.jpgNei giorni addietro, Adele Chiello, madre del sottocapo di seconda classe Giuseppe Tusa, una delle vittime, ha espresso tutta la sua amarezza per la perdita del proprio figlio. Troppo tempo è passato senza aver ottenuto alcuna forma di giustizia. Il ricordo di quello che avvenne quella notte rappresenta ancora un dolore profondo con cui fa i conti in ogni istante delle proprie giornate. Un dolore che invade e pervade i sogni notturni trasformandoli in continui ed infiniti incubi.

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Unica speranza è che in tutte le fasi processuali emerga finalmente la verità. Sempre secondo la madre di Giuseppe Tusa, quella sciagura poteva e doveva essere evitata. La stessa esprime il desiderio che il processo porti alla luce tutti i responsabili visto che quella non fu ne una tragica fatalità e nemmeno una concomitanza di sfortunate coincidenze. Il suo dire fa riferimento alle parti in causa, che non hanno fatto quello che avrebbero dovuto per avidità, incompetenza, leggerezza e alleanze politiche. Queste parti in causa sarebbero colpevoli della morte di ben nove ragazzi, figli, fratelli, padri, mariti, colleghi e amici tutti incolpevoli.

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Ognuno di loro con i propri sogni. Sogni, speranze e talenti crollati in qualche secondo insieme a quella maledetta torre, che non doveva essere costruita lì. La giustizia deve svelare chi l’ha progettata, chi l’ha autorizzata e perchè non sono state previste protezioni per un incidente abbastanza probabile e prevedibile. Come mai Giuseppe Tusa è stato ripescato dopo sedici ore, quando vi sono testimonianze di chi asserisce, che vi erano dei colleghi bloccati nell’ascensore dal quale provenivano i loro lamenti. I pompieri, però, raccontano di avere ritrovato, dopo qualche giorno, l’ascensore vuoto. Allora, dove è stato ritrovato il Tusa? Sarebbe legittimo sapere come si sono svolti i soccorsi di quella notte? Come mai nessuno è riuscito a salvare nessuno? I soccorsi sono stati adeguati? Giuseppe poteva essere salvato? Perché quel maledetto cargo è partito dal molo in condizione già precarie?

cms_736/images_(1).jpgPerché la Capitaneria di Porto non ha protetto la vita dei suoi lavoratori e li ha messi in quella trappola a presidiare la sicurezza di altri senza occuparsi della loro stessa sicurezza? Tanti interrogativi ai quali la Procura di Genova e i titolari delle indagini dottor Di Lecce e dottor Cotugno dovranno rispondere. Solo grazie al merito di alcuni portuali che si trovavano casualmente sul posto furono salvate tre sole persone. Evidentemente, il potere che hanno le lobby degli armatori nelle decisioni che si prendono all’interno del Porto di Genova, è grande e incondizionato. La vita di un uomo non deve e non può avere un prezzo e, in ogni caso, deve valere sempre più del profitto e degli interessi economici dei pochi.

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Questa verità deve emergere dai processi e non bisogna permettere alle abilità dialettiche degli avvocati di alleggerire le responsabilità penali di tutte le parti in causa, in un cinico e pericoloso scaricabarile. La magistratura continui a stare dalla parte delle vittime, senza alcun tipo di sudditanza psicologica ai poteri e ai potenti. La giustizia ha il dovere di ridare alle vittime e alle loro famiglie la giusta dignità punendo i colpevoli. Trovo doveroso ricordare i nomi delle altre vittime, Davide Morella, Daniele Fratantonio, Gianni Iacovello, Francesco Cetrola, Marco De Candussio, Michele Robazza, Maurizio Potenza, Sergio Basso, che non risponderanno mai più all’appello quotidiano della vita. L’unica cosa che ancora possiamo fare nel nome e nel rispetto di queste persone decedute è chiedere che sia fatta “giustizia”. Nulla più che giustizia

Francesco Mavelli

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