Gli USA violano la privacy
Corte UE: clausole standard viatico per trattamento illecito

Eravamo abituati alle invettive dell’Amministrazione Trump contro la Cina per il supposto spionaggio tramite Huawei, ma questa volta a patire l’accusa di mettere a repentaglio la privacy degli altri sono proprio gli Usa.
A lanciare l’allarme sono i cugini della UE, tramite la Corte Europea di Giustizia che, con la sentenza 16 giugno 2020, causa C- 311/18, ha ritenuto invalido un accordo tra Europa e Usa, definita “Privacy Shield” e risalente al 2016, perché metterebbe a rischio i dati personali dei cittadini europei. A dare il via alla vicenda era stato un cittadino Austriaco che lamentava l’uso distorto dei dati personali gestiti da Facebook, custoditi in Usa, dopo aver vinto una battaglia simile nel 2015, allorquando ottenne l’annullamento di altro accordo sul fronte del trattamento dei dati (il Safe Harbour). L’aspetto pratico riguarda le clausole contrattuali standard che lascerebbero potenzialmente troppa libertà di trattamento e che la Corte ritiene tollerabili solo con il doppio paletto del placet dei singoli Stati incaricati della protezione dei dati e della constatazione che le leggi del Paese destinatario diano sufficienti garanzie di protezione. Troppo forte il rischio, a parere della Corte, che i servizi americani approfittino delle banche dati custodite negli Usa. La decisione in commento aggrava i rapporti tra Europa e Usa, e ha risvolti pratici immediati, poiché molte imprese hanno sottoscritto l’intesa Privacy Shield, sicché vi è un vuoto normativo abbastanza grave. Come spesso accade in questi casi, tuttavia, la salvaguardia degli interessi economici che sta ovviamente a cuore a tutte le aziende ha già messo in moto un meccanismo di autoregolamentazione delle misure in grado di aumentare il livello di protezione dei dati. La politica, come spesso accade in questi casi, arriverà a codificare in ritardo quello che sarà già ovvio per tutti.
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