Grecia: l’eroina dei migranti in carcere per spionaggio

Lungo le coste nordorientali dell’Egeo, è possibile ravvisare numerose isole e arcipelaghi. Per alcuni questi sarebbero da annoverare fra i luoghi più belli e rappresentativi del Mediterraneo, per altri si tratta di regioni ricche di storia e di tradizioni millenarie; comunque la si pensi, non si può negare che, senza quelle isole così vicine all’Anatolia, l’intera cultura occidentale oggi sarebbe profondamente diversa. È curioso notare che tutt’ora, a distanza di millenni, quelle isole continuano in qualche modo a rappresentare uno degli emblemi della cultura Europea; non più, tuttavia - a differenza di quanto accadeva in passato - come centri artistici o come punti di ritrovo per poeti arcaici e intellettuali, bensì come termometro principale dell’accoglienza e della solidarietà del nostro continente.
Ogni anno, durante la stagione estiva, giungono dal martoriato Medioriente migliaia di barconi diretti verso l’isola di Lesbo. Il loro obiettivo è tanto semplice quanto significativo: raggiungere i confini dell’Unione Europea e di lì, magari, tentare di accedere alle regioni settentrionali del continente provando così a richiedere asilo.
In modo particolare, vi è un barcone giunto nel 2015 che più di tutti ha fatto discutere e ha commosso l’opinione pubblica. A bordo non v’erano più di venti passeggeri, ma fra di essi figuravano due giovani sorelle siriane in fuga, come molti altri, dalla guerra e dalla violenza della dittatura di Bashar al-Assad. I loro nomi erano Sarah e Yusra Mardini. Non erano due ragazze normali, ma due eccellenti atlete: entrambe, fin da piccole, avevano iniziato a praticare il nuoto a livelli agonistici, ma avevano dovuto abbandonare la propria passione in seguito allo scoppio della guerra civile nel 2011.
Quella notte dovevano essere piene di sogni e di speranze per il proprio futuro: sogni di una vita migliore, una vita lontana dalle bombe e dalla miseria… ma ecco che a un tratto qualcosa sembra andare storto: il motore dell’imbarcazione ha un guasto irreparabile. Non è difficile immaginare il panico che, in quel momento, dovette pervadere i migranti a bordo; eppure, quando Sarah e Yusra si guardarono negli occhi, compresero quasi immediatamente che forse era giunto il momento di utilizzare il proprio talento per qualcosa di più utile di una semplice competizione sportiva: salvare vita umane.
“Sarebbe stato davvero ingiusto morire in mare visto che sono una nuotatrice” racconterà in seguito Yusra.
Le due sorelle non ci riflettono neppure un istante di più: buttano in acqua tutto ciò che non è strettamente indispensabile, che in altre parole vuol dire tutto tranne i loro preziosi passaporti, coperti da una custodia impermeabile all’acqua. Dopodiché, si tuffano insieme; il mare è gelido e intorno c’è tanta oscurità, ma, fortunatamente, quella notte Eolo sembra provare pietà per i profughi sul barcone: il vento è debolissimo, le acque sono calme.
Sarah e Yusra trainano la barca per quasi quattro interminabili ore: sono sfinite, ma ecco che, proprio quando la stanchezza sembra prevalere, all’orizzonte si profilano le luci del porto di Mitilene. Sono salve.
Immediatamente, le due ragazze vengono erte ad eroine: la loro impresa non solo fa discutere, ma diviene perfino il simbolo di una generosità di cui spesso, ai giorni nostri, sembra esserci una profonda esigenza. La loro Odissea non finisce lì: attraverseranno la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria e l’Austria prima di giungere in Germania dove, finalmente, otterranno lo stato di rifugiate e con esso un po’ di pace.
Yusra, nonostante il lungo periodo d’inattività, decide di rispolverare le sue antiche ambizioni sportive: pur non parlando bene il tedesco, con l’aiuto di un immigrato egiziano riuscirà a contattare la Wasserfreunde Spandau 04, una polisportiva berlinese alla costante ricerca di nuovi talenti. Lì, grazie anche all’aiuto del suo allenatore Sven Spannekrebs, riuscirà a qualificarsi alle olimpiadi di Rio de Janeiro. Vincerà la prima batteria dello stile farfalla ma verrà eliminata in semifinale. Poco importa: per una ragazza con la sua storia, il solo fatto di aver partecipato valeva più di un oro olimpico.
Sembra il coronamento di una bella storia, ma i guai non erano ancora terminati per le Mardini. Già, perché, a differenza di sua sorella, una volta in Germania Sarah ha anteposto un’altra passione al nuoto: quella per la filantropia. Voleva aiutare i migranti, i profughi, le persone che si trovavano nella stessa situazione che lei aveva dovuto vivere in prima persona. Proprio fra pochi giorni, avrebbe dovuto iniziare il suo percorso di studi presso il Bard College, un’università privata tedesca: magari con un titolo di studio avrebbe potuto un giorno ambire ad una posizione importante, far sentire davvero la propria voce sul tema dell’immigrazione. Prima però, c’era una cosa che doveva fare: tornare nel luogo dove aveva vissuto la notte più lunga della propria vita, l’isola di Lesbo. Quest’estate, Sarah ha trascorso diversi mesi in Grecia, dove ha collaborato, fra le altre, con “Emergency response center international”, una Ong che si occupa di dare una mano ai rifugiati.
Purtroppo, proprio quest’ultima collaborazione le sarebbe costata cara. Le autorità elleniche hanno infatti accusato 30 persone facenti parte del gruppo di aver “facilitato sistematicamente l’ingresso illegale di cittadini stranieri”. Tra gli indagati risulta esserci anche Sarah, sulla cui testa pende inoltre un’accusa di spionaggio. Sarah è stata infatti trovata in possesso di una radio particolare, con la quale sarebbe stato possibile intercettare i segnali della guardia costiera greca e, di conseguenza, offrire indicazioni utili ai barconi.
La ragazza, attualmente in carcere, rischia ora fino a 18 mesi di reclusione e, malgrado a detta del suo avvocato le prove siano insussistenti, il timore è che prima di essere scarcerata dovrà attendere i tempi biblici delle indagini preliminari della magistratura locale. L’ambasciata tedesca ad Atene sta tentando in tutti i modi di sfruttare la propria rete diplomatica per far sì che la ragazza non rimanga detenuta troppo a lungo ma la situazione, ancora una volta, non sembra essere delle più facili.
Nessuno può dubitare dell’animo altruista della ragazza, e sebbene ciascun reato dev’essere trattato come tale, non si può negare che taluni di essi vengano compiuti per finalità più nobili di altre. In fondo, riuscire a trovare il confine tra la giusta applicazione delle leggi e la comprensione verso chi le viola è un’impresa sempre molto ardua… spesso perfino più ardua che difendere i confini di una nazione.
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