IL BRANCO

QUANDO L’UOMO E’ LA BESTIA

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Quando si leggono certe notizie sui quotidiani, si resta sempre leggermente perplessi. Risse finite in tragedia, liti in famiglia sfociate in drammi di sangue. Storie che ci raccontano di come gli istinti possano prevalere sulla cosiddetta ragione. Chi non ha letto dell’assassinio di Emanuele, il ragazzo di 20anni massacrato fuori da un locale di Alatri? Un episodio del quale ci siamo occupati e che ha avuto risonanza mediatica impressionante. Massacrato da un gruppo di viventi che sinceramente si fa fatica a definire persone. Persona, cioè chi, in ambito filosofico, è dotato di una coscienza di sé ed in possesso di una propria identità. Coscienza di sé implica anche coscienza degli altri, ovviamente, ed infatti coscienza è anche sinonimo di consapevolezza. E quale consapevolezza può avere chi agisce in branco, agitato dalla rabbia verso qualcun altro, talmente assettato di sangue da non rispettare nemmeno il codice dell’onore non scritto, che impone che lo “sgarro” sia vendicato personalmente? Già, “lo sgarro”, termine in uso negli ambienti delinquenziali, tra i piccoli criminali, talmente molesto verbalmente da apparire quasi ridicolo, ma che per certe figure che sguazzano nel putridume morale è l’affronto supremo. Significa tutto e niente, un’ingiuria insopportabile, quale può essere l’aver alzato semplicemente la testa, l’aver risposto male, l’aver ignorato una battuta volgare. Perché il branco non si limita a picchiare e massacrare inermi malcapitati, no, il branco stupra in gruppo, il branco taglieggia, il branco dà la caccia a chi reputa diverso, per orientamento sessuale, per etnia o religione. Il branco esiste da sempre, i suoi appartenenti sono i più vigliacchi e meschini, quelli che invidiano chi ha una vita normale, che hanno bisogno di esercitare pressione per essere approvati, quelli che commettono azioni, con un movente che spesso non esiste.

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Il branco è ferocia ingiustificata, paura che ha bisogno di incutere, sfidando le istituzioni troppo clementi. La logica non esiste, non affanniamoci a cercarla. Dietro quelle entità esiste un pensiero malato e distorto. Si riuniscono senza un progetto, se non quello di passare del tempo, pervasi dal più feroce istinto animale. Nei casi di soggetti pericolosi, gli investigatori seguono delle piste, così come il cacciatore segue l’usta della preda, quell’odore caratteristico che lasciano gli animali selvatici. Continuiamo a vivere la violenza come ineluttabile, ma ci illudiamo sempre che esistano dei motivi che la innescano. Per questo talvolta giustifichiamo l’ingiustificabile, il frutto malato di una società annoiata che affoga nell’alcol e nella droga il futuro dei suoi figli.

Paolo Varese

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