IL FASHION SYSTEM DOPO IL LOCKDOWN

IN CINA E’ TEMPO DI REVENGE SPENDING

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Il Presidente della Camera della Moda Italiana, Carlo Capasa aveva scritto già l’undici aprile scorso, in una lettera aperta al Governo, che se il fashion system non fosse ripartito entro il venti aprile avrebbe perso una grande fetta di mercato internazionale e il suo primato europeo su Spagna, Germania e la temutissima Francia. “Se vogliamo continuare ad avere un’industria della moda in Italia dobbiamo riprendere da subito a produrre anche la moda”, queste le parole inascoltate di Carlo Capasa visto che, siamo al venticinque aprile, e niente è cambiato per il fashion system. Il coronavirus ha scosso l’intero fashion system con l’intera filiera al palo (dai produttori, alle maison, al retailer), fashion week ed eventi legati alla moda annullati (vedi Cruise Collection, Haute Couture, Pitti, Met Gala etc…), buyers, giornalisti del settore, fotografi, truccatori, parrucchieri, commessi e dipendenti che non hanno più un lavoro, un settore, alla stregua di quello turistico, cruciale per il nostro paese e che sono stati del tutto inascoltati. Di fronte alle tante incognite che il dopo lockdown ci presenterà e ai magazzini strapieni di merce invenduta sono in tanti che hanno pensato di riproporre le collezioni spring/summer 2020 anche per il 2021, visto che probabilmente la gran parte delle collezioni, soprattutto quelle primaverili, rimarrà invenduta anche dopo la riapertura dei negozi. Ma la vera incognita per il fashion system è cosa ne sarà delle collezioni per il prossimo inverno visto che la produzione è ferma e se anche il quattro maggio il settore della produzione avrà il via libera sono in tanti a temere che potrebbe essere troppo tardi per far arrivare, nei tempi previsti, nei negozi le collezioni autum/winter 2020-2021.

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Per il designer Giorgio Armani, ma non è il solo, il coronavirus porterà il fashion system a riappropriarsi del tempo, i designer avranno il giusto tempo per creare senza il fiato sul collo del mercato che, sino allo scorso febbraio, pretendeva sempre di essere stupito, di avere sempre novità, imponendo al fashion system collezioni resort, pre, capsule collection, collaborazioni con uscite sul mercato quasi mensili. Per Armani le maison dovranno riscoprire la propria storia disegnando collezioni identificative, mirate, che non seguano i trend del momento, ma delle collezioni di altissima qualità che possano superare le stagioni e il tempo. Sempre secondo il designer sarebbe auspicabile dire addio a location costosissime e lontanissime per presentare le proprie collezioni tornando a scelte locali, spostando il momento dei saldi estivi a settembre, com’era un tempo, così che i negozi vendano i capi a prezzo pieno per più tempo. Il fashion system sarà necessariamente sempre più digitale con piattaforme da dove verranno trasmesse le sfilate onde evitare gli assembramenti dei fashion show come li conoscevamo prima di questo maledetto virus.

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In questa direzione si è già orientato il British Fashion Council (Camera della Moda Britannica) che ha reso noto che la London fashion week prevista dal dodici al quattordici giugno prossimo si svolgerà interamente su una piattaforma digitale dove, buyers, fashion editor e clienti, potranno assistere alle sfilate. Anche per la stampa di settore, scritta e online, sono e saranno tempi duri, impediti nel poter scattare servizi fotografici, impossibilitati a commentare red carpet e sfilate, attanagliati dai dubbi se sia un bene parlare di argomenti “leggeri” come il fashion ai tempi del coronavirus. Secondo una ricerca di Forbes oggi gli acquisti del cliente medio dell’intero pianeta sono orientati verso generi alimentari, farmaci, attrezzi per lo sport casalingo, giochi di società, dispositivi per sanificare la propria casa, disinfettanti per la persona e l’ambiente. Ma la grande domanda che gli addetti del settore si fanno e se dopo lo smarrimento iniziale i consumatori, con l’incertezza del futuro e la crisi economica avranno ancora voglia di acquistare il fashion? E come cambierà la richiesta? Davvero, come prevedono alcuni, si avrà sempre più voglia di capi sportswear, che durino nel tempo, genderless, minimal e non più legati ai trend di stagione e ai diktat dello streetstyle? Davvero la paura del virus e dell’altro ci porterà a fare sempre più shopping online e meno nei negozi fisici? Davvero l’esperienza del camerino sarà vissuta come un incubo pensando a chi prima di noi ha provato quel capo? Davvero i guanti e la mascherina ci faranno perdere la gioia per lo shopping?

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In Cina dove tutto è iniziato e che oggi, faticosamente, stanno riaprendo negozi e ristoranti si sta assistendo al fenomeno del “revenge spending”, ovvero i cinesi cominciano a spendere per vendicarsi del virus, del tempo che ha sottratto loro (e per i cinesi è stato un lock-down davvero draconiano). Fuori dai primi negozi che hanno aperto, come la maison Chanel si sono create lunghe code, vuoi per gli accessi contingentati, vuoi per la grande voglia dei cinesi di lasciarsi alle spalle un periodo buio con l’acquisto-gratificante dopo tanti giorni di depressione e solitudine. Il quotidiano China Daily ha pubblicato un articolo che non lascia dubbi sulle aspettative per il futuro prossimo dei cinesi che nella loro wishlist hanno messo lo shopping, andare al ristorante e tornare presto a viaggiare. Con buona pace di tutti quelli che auspicano che il dopo coronavirus ci porti a guardare la vita nella giusta prospettiva e a dare priorità alle cose che contano davvero, il trend che arriva dalla Cina è che il consumismo sta riprendendo il posto che non aveva perso mai (parafrasando un canzone di Mina) e che regala un barlume di speranza fashionista a tutte le fashion addicted come la sottoscritta, si scherza, ma mica tanto!

T. Velvet

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