IL PARADOSSO DEI MIGRANTI
Da nord a sud l’agricoltura ha bisogno di loro per le prossime campagne di raccolta, ma quando ci sono non li vogliamo

Da nord a sud rappresentano una forza lavoro necessaria, ma soltanto stagionale. E adesso che c’è il covid19 a segnare la tabella di marcia della nostra società, anche i più refrattari, nel considerarli un’opportunità per l’imprenditoria agricola italiana e per il comparto produttivo trainante di alcune regioni, si stanno ricredendo o quanto meno tacciono. Con l’arrivo della primavera e delle prime giornate di caldo fuori stagione, gli agricoltori cominciano a organizzare il lavoro sulla base di manodopera indigenae soprattutto straniera da impiegare nella lavorazione dei campi e nei raccolti. Il Veneto, per esempio, in questo periodo ha bisogno di circa 7.000 lavoratori stagionali, in vista dell’imminente campagna degli asparagi e della raccolta delle fragole. È una stima della Coldiretti regionale, su un comparto primario che nel 2019 ha impiegato 75 mila stagionali, operai meccanici e specializzati. Ma con il numero di sbarchi diminuiti (solo 241 stranieri a marzo), rimpatri eseguiti prima della pandemia e spostamenti vietati, soprattutto a chi non ha un permesso di soggiorno o non è in regola con il lavoro, la questione “manovalanza agricola stagionale” si fa alquanto seria. Tornando alle coltivazioni venete, di solito i picchi degli ingressi si registrano nel bimestre marzo-aprile, con la maturazione di ortaggi e frutta, e tra agosto-settembre con la vendemmia. Solo per il veronese, in questo bimestre, sono necessarie 4000 unità lavorative, 1.000 nel rodigino, 900 a Padova e nel trevigiano 500.
E la situazione non è delle migliori neanche al sud, nonostante rappresenti meta principale di sbarco di immigrati economici e politici. Se in altri tempi, in questo periodo, gli hotspot andavano in sofferenza, adesso solo quello di Pozzallo ha 40 persone, mentre sono vuoti quelli fra Lampedusa, Messina e Taranto. In calo pure le presenze nei centri di permanenza per rimpatri: 344 secondo il Garante nazionale (in discesa dal 12 marzo, quando erano 425) e fermi i rimpatri. Ma qui emerge un’altra questione, più volte denunciata da Ong e associazioni di volontariato: la situazione drammatica dei migranti nei ‘ghetti’. Il problema per quelli rimasti nel meridione d’Italia sono le condizioni igieniche, la mancanza di Dpi, il rischio di contagio molto elevato, l’impossibilità di spostarsi per andare nelle campagne a raccogliere frutta, verdure e ortaggi e, quindi, la mancanza di sostentamento. Nella sola provincia di Foggia, in particolare nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, sono circa 2500 le persone distribuite nei presidi abusivi. La situazione è identica anche nella piana di Goia Tauro: quelli che riescono a lavorare per raccogliere gli agrumi, lo fanno senza guanti o mascherine. Mancanza di igiene, di lavoro, di cibo e di contagio, rischiano di far salire la tensione sociale. In Calabria, per esempio, nelle zone dove si raccolgono agrumi, sono presenti un migliaio di immigrati.
“Ora che c’è il problema delle forniture di cibo nei supermercati con il coronavirus, si ’scopre’ che questi lavoratori servono -denuncia Francesco Piobbichi del progetto braccianti di Mediterranean Hope a Rosarno - Ma a maggior ragione devono avere risposte rapidamente e condizioni dignitose di vita, da parte delle istituzioni.” Finita la stagione degli agrumi, i migranti si spostano verso Saluzzo per la raccolta di pesche, albicocche, mele o i pomodori in Puglia. “Ma ora sono bloccati, come faranno a spostarsi? Già vengono fermati in questi giorni e rimandati indietro se non hanno un contratto. Ma senza lavoro, come mangiano?”, chiede Ruggero Marra dell’Usb (Unione Sindacale di Base) calabrese. Andrea Tripodi, sindaco di San Ferdinando in cui sono presenti circa 500 migranti in una tendopoli nei pressi del piccolo borgo calabrese, è “sconcertato e addolorato”, perché “la presenza dei migranti qui non scende dal cielo, è sempre stata funzionale alla nostra agricoltura ma una tendopoli deve restare finché c’è l’emergenza. Oltre, è inutile. È solo un luogo di sofferenze e risentimenti”. Nelle scorse ore, alcuni che vivono in questa struttura che conta solo 7 bagni, hanno protestato chiedendo aiuti per fare la spesa e mangiare; ma ben poco può fare il Comune per sopperire a queste necessità.
Al momento a questo “paradosso dei migranti” non ci sono state risposte da parte del Governo. Una soluzione, però, riguardo al reperimento di braccianti e forza lavoro, è stata annunciata, in un incontro organizzato su Facebook da Più Europa, dalla Ministra Teresa Bellanova: “Mettiamo tutti i percettori di sussidi pubblici (reddito di cittadinanza e indennità di disoccupazione, ndr) nella condizione di poter contribuire a affrontare un’emergenza che abbiamo, quella delle prossime campagne di raccolta”. Intanto qualche migrante nel sud Italia, almeno chi riesce a raggiungere i fondi agricoli, lavora ma non sempre con guanti e mascherine, facendo salire il rischio di contagio che nei prossimi giorni, stando agli studi dei ricercatori e della Protezione Civile, raggiungerà picchi paragonabili a quelli della Lombardia.
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