IL REDDITO DI INCLUSIONE ENTRA NELLE FAMIGLIE ITALIANE DISAGIATE

Un contributo mensile per chi è sotto la soglia di povertà assoluta. Precedenza ai nuclei familiari con figli minori e ultra 55enni senza lavoro

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L’Italia è sempre stata considerata il fanalino di coda, in Europa, in fatto di strumenti di lotta alla povertà. Gli ultimi dati dell’Istat dicono che nel 2015 le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta erano quasi 1 milione e 600 mila e gli individui cinque milioni, il numero più alto dal 2005 a oggi. Con il reddito di inclusione - approvato al Senato il 9 marzo scorso, con 138 Si’ e 71 No (il M5S ha votato contro); 21 gli astenuti - il governo dà un aiuto a meno della metà di questi, ma comunque prevede fino a 500 euro al mese alle famiglie in condizioni di disagio con limiti diversi a seconda delle difficoltà del nucleo, del numero dei componenti, del reddito e della situazione patrimoniale. Il provvedimento, che ha già incassato l’ok della Camera, è comunque diventato finalmente legge.

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A beneficiarne, le famiglie di quel milione e 600mila considerate dall’Istat al di sotto della soglia di povertà. La platea sarà individuata sulla base dell’indice ISEE. Siamo al primo passaggio parlamentare, dopodiché l’esecutivo dovrà mettere mano ai decreti legislativi. Si tratta, infatti, di una legge delega, ovvero dell’autorizzazione che il Parlamento fa al governo per legiferare su una determinata materia, dando delle indicazioni di massima e ponendo dei vincoli costituzionali. Tuttavia, è un primo, necessario passo compiuto.

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Con il reddito di inclusione, si attua un “passo storico” che rappresenta il pilastro fondamentale del Piano nazionale per la lotta alla povertà, oltre che colmare un vuoto annoso nel sistema italiano di protezione degli individui a basso reddito che ci vedeva come l’unico Paese, insieme alla Grecia, privo di una misura strutturale di contrasto alla povertà. Per la prima volta nella nostra storia contemporanea si è costruito un percorso che dovrebbe colpire la povertà assoluta in tutte le persone che ne soffrono.

Il reddito di inclusione non è concepito come una semplice erogazione finanziaria ma è, accanto a un percorso di inclusione attiva, un percorso che punta alla formazione, al reinserimento in società. Il provvedimento prevede due diverse forme di assistenza. La prima è quella più strettamente economica, con un assegno mensile (intorno ai 400/500 euro) che garantisca appunto quel “reddito di inclusione” in grado di consentire alle famiglie che ne beneficiano di accedere ai beni di consumo fondamentali per la loro sussistenza. La seconda consiste invece in una serie di servizi alla persona da garantire gratuitamente in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale. Si tratta di progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, da elaborare e gestire in collaborazione con le amministrazioni locali sulla base delle effettive esigenze degli interessati.

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Il disegno di legge delega prevede anche la necessità di un riordino dei servizi e, più in generale, delle prestazioni di natura assistenziale attualmente previsti, che possono essere anche ricondotti all’interno di quelli previsti da questo provvedimento. Si attendono conferme circa l’importo e le modalità di accredito dello stesso (probabilmente una carta prepagata): verosimilmente, almeno in questa prima fase, la cifra sarà la stessa di quella prevista per l’attuale sostegno per l’inclusione attiva (quindi non più di 400 euro al mese). Tuttavia è previsto un graduale incremento e anche l’estensione della platea dei beneficiari a partire dai nuclei familiari con figli minori o disabili, donne in stato di gravidanza e disoccupati oltre i 55 anni. Confermato anche il requisito di residenza di durata minima. I decreti confermeranno anche la durata del beneficio, che è limitata nel tempo ma con possibile rinnovo previa verifica della persistenza dei requisiti. Il provvedimento varrà anche per gli stranieri che vivono in Italia ma per beneficiare del reddito sarà previsto un requisito di durata minima di residenza nel territorio nazionale.Aspettiamo, dunque, i decreti attuativi che il governo dovrà emanare entro 6 mesi dalla data di approvazione. Occorre poi il passaggio alle Camere per i pareri delle commissioni. Se tutto procederà celermenteil nuovo strumento potrebbe diventare pienamente operativo a settembre, altrimenti si andrà all’inizio del prossimo anno. Quello che, tuttavia, importa è che il passo sia stato compiuto.

Mary Divella

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