IL SOGNO ARGENTINO

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Sembrerebbe che il problema principale sia che in Argentina non si risolve mai niente. Tutti parlano di recessione, eppure si nota un consumismo sfrenato, stando a quanto dicono gli abitanti di alcuni quartieri più belli della capitale. Il motivo dell’inflazione e soprattutto come combatterla sono oggetto di un dibattito infinito. Nessuno pensa che l’Argentina possa collassare nuovamente e questo è dovuto al fatto che il paese ha conosciuto diversi fallimenti nel corso della sua storia (dall’articolo di Graciela Mochkofsky “L’eterna promessa”, Internazionale 1084). E soprattutto non c’è accordo sul fatto che ci sia già stato o stia per riverificarsi, per cui non viene vissuto con la stessa drammaticità con cui viene raccontato all’estero. La storia di questo paese ha conosciuto diverse fasi, una copertina dell’Economist dello scorso febbraio titolava “La tragedia dell’Argentina: un secolo di decadenza”.Ma si faccia un passo indietro.

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Il paese fu dichiarato insolvente nel dicembre 2001 dal presidente Adolfo Rodríguez Sáa: il debito estero di circa 144 miliardi di dollari (equivalente al 150% del pil di allora) era impossibile da pagare e il paese dichiarò fallimento. Inevitabile la svalutazione che seguì per la quale il dollaro passò a valere 4 pesos. Per evitare la fuga di capitali il governo aveva imposto una restrizione sui prelievi di contanti dai conti correnti e dalle casse di risparmio. Il presidente che succeddette a Rodríguez Sáa, Eduardo Duhalde, cominciò una trattativa per negoziare il debito chiusa poi da Néstor Kirchner, eletto nel 2003. Fu raggiunto un accordo con il 93% dei creditori: l’Argentina avrebbe pagato solo il 30% del debito. AI creditori fu offerto di scambiare dei titoli di stato inesigibili e senza alcun valore con altri che valevano il 70% in meno. Ma l’accordo del 2003 tra l’Argentina e i suoi creditori stabilisce che il paese non può offrire a nessuno delle condizioni migliori. Se lo facesse, l’accordo perderebbe validità e l’Argentina dovrebbe pagare l’intera somma che doveva nel 2001. La clausola avrebbe avuto validità fino al dicembre 2014. Buenos Aires aveva chiesto tempo per negoziare.

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Nel 2007 il presidente Néstor Kirchner assunse il controllo dell’Indec (Istituto Nazionale di Statistica) che fino a quel momento aveva goduto di grande prestigio. Secondo Kirchner si sarebbe dovuto utilizzare l’Indec per difendere gli interessi nazionali, ingannando il Fondo monetario internazionale (Fmi) che invece determinava gli interessi del debito estero sulla base dell’inflazione. La manipolazione delle statistiche è proseguita anche quando l’Argentina ha estinto il debito con l’Fmi. Oggi per conoscere i dati privati bisogna ricorrere ad istituti privati e la maggior parte concorda sul fatto che nel 2014 l’inflazione ha raggiunto il 40%.

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Lo scorso anno il giudice Thomas Poole Griesa, magistrato federale di New York, ha opposto un veto molto rigido nel bloccare i pagamenti tentati da Buenos Aires ai creditori che hanno accettato la ristrutturazione del debito senza rimborsare contemporaneamente i fondi dissidenti. Si è trattata naturalmente di un’azione intransigente, fortemente criticata dalla Kirchner e dal Ministero dell’Economia, un’azione che rischia di far fallire qualunque negoziato tra il paese latinoamericano e i detentori delle sue obbligazioni. L’anziano e sagace magistrato ha inoltre ordinato a Bank of New York Mellon (che ha ricevuto dall’Argentina fondi per 539 milioni destinati ai creditori più docili) di non muovere un dollaro. Si è verificata in questo modo la bancarotta: l’Argentina ha depositato i soldi per pagare i suoi creditori, vuole farlo, ma il giudice glielo impedisce. E di qui una battaglia legale dalle ripercussioni internazionali. La Corte Suprema, la massima autorità giudiziaria statunitense, ha bocciato un ricorso dell’Argentina, rifiutando di intervenire contro la sentenza di Griesa. Nel frattempo i fondi dissidenti hanno offerto all’Argentina un’estensione della scadenza di pagamento fino a fine luglio se però dimostrerà buona fede in nuove trattative.

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Il governo di Cristina Fernández de Kirchner ha ricevuto il sostegno del Fmi e di molti governi. Il 9 settembre 2014 l’assemblea delle Nazioni Unite ha approvato a maggioranza la creazione di un quadro giuridico internazionale per proteggere le ristrutturazioni del debito sovrano. Il governo ha poi approvato una legge che permette ai creditori di scambiare i titoli di stato regolati da leggi straniere con nuovi titoli legati alle norme argentine. Il 2015 sarà l’ultimo anno del decennio kirchnerista, decennio di grandi cambiamenti per il paese, uscito da una delle peggiori crisi economiche ma che si è visto crescere anche a tassi del 9% l’anno. La classe media è raddoppiata, il matrimonio tra le persone dello stesso sesso è stato legalizzato (prima che a New York) e le leggi di impunità che proteggevano i militari accusati di crimini durante l’ultima dittatura sono stati abolite e il governo è riuscito anche a rafforzare il sistema politico clientelare senza creare un’economia forte.

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Il futuro politico è incerto e pesa su tutto il resto. La presidente non può presentarsi alle elezioni del 2015 e ci si chiede se nelle file kirchneriste ci sia un candidato in grado di vincere. Qualche giorno fa Il procuratore argentino che indaga sull’attentato contro l’associazione ebraica argentina Amia - nel luglio del 1994, 85 morti - ha accusato la presidente Cristina Kirchner e il ministro degli Esteri, Hector Timerman, di aver ideato un "sofisticato piano delittuoso" per insabbiare ogni responsabilità dell’Iran nell’attacco e salvaguardare i rapporti economici bilaterali. Ma intanto ci si affretta a realizzare qualcosa prima che tutto finisca, a sfruttare l’anno per realizzare gli ultimi cambiamenti: approvazione di leggi, creazione di nuove istituzioni e termine di alcuni processi.

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A Buenos Aires c’è un’aria pesante, la gente è aggressiva e il clima di tensione e violenza si spiega solo con un termine: frustrazione. Secondo Abel Gilbert, scrittore giornalista e musicista, dietro quest’odio ci sarebbe della grande frustrazione. L’insoddisfazione per un grande destino non realizzato per il sogno dell’eccezionalità argentina. Secondo Gilbert “L’Argentina non accetta le sue condizioni. È un problema di aspirazioni: dovremmo essere Parigi, dovremmo essere New York .. ma perché non dovremmo essere Buenos Aires e basta? Se fossimo a La Paz questo problema non esisterebbe”.

Bancarotta o no, i problemi dell’Argentina sono ancora molti e irrisolti.

Giacomo Giuseppe Marcario

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