IL VITIGNO TAZZELENGHE

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Non riuscirò mai a smettere di stupirmi di questo nostro Paese così unico, variegato, emozionante, e per certi versi, di indissolubile genuinità storica. L’insieme di questi aggettivi provoca un senso di benessere per chi è alla continua scoperta di usi, costumi, tradizioni, eccellenze culinarie e, soprattutto, consente di poter scoprire prodotti che nel quotidiano non si esprimono restando quasi nell’ombra e garantendo, in tal modo, una riservatezza a volte imbarazzante. E’ il caso del vitigno autoctono a bacca nera Tazzelenghe, originario del Friuli Venezia Giulia. Il suo nome sembra derivare proprio dal dialetto friulano e sta a significare “taglialingua”, per questa sua predisposizione all’invecchiamento che consente di ottenere vini dalla grande tannicità e che, unita ad una spiccata acidità, provoca nel palato una astringenza complessa e importante, tale da tagliarne la lingua.

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Vitigno di non facile coltivazione, presenta caratteristiche difficili da gestire ed è forse questo il motivo che ha relegato la sua zona di produzione alla sola provincia di Udine. Ciò nonostante, i Produttori che hanno deciso di continuare la coltivazione di questo vitigno si contano su una mano ed a loro va tutta la nostra gratitudine per aver evitato la perdita di un vitigno autoctono così importante che nel corso degli anni ha vissuto momenti di esaltazione seguiti a momenti di indifferenza.

Questo vitigno genera uve dal colore blu/nero, quasi viola, espressione di un grado di intensità tale che ricorda l’inchiostro di china. Preludio alla sua elevata tannicità, prende corpo in barriques di rovere che doneranno un bouquet ampio. Ideale in abbinamento con selvaggina e carni rosse, non disdegna formaggi di lunga stagionatura.

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Il vitigno Tazzelenghe può essere annoverato tra le nicchie del mondo enologico. La sua superficia coltivata si avvicina ai 55 ettari totali quindi possiamo dire che si tratta di “una goccia nel mare” della produzione vinicola italiana, ma come tutte le perle rare è proprio questa la sua fortuna. Il Tazzelenghe non ama le mezze misure: o lo si ama o lo si odia. Personalmente, per il solo fatto di essere un autoctono italiano sento il dovere ed il piacere di amarlo se non altro perché per arrivare ai giorni nostri ha viaggiato a cavallo di molti secoli di storia; pertanto si merita la giusta attenzione e considerazione.

Buona degustazione!

Carlo Dugo

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