INAUGURATA UNA NUOVA STAGIONE “ESTATE 2020…D’AUTUNNO”

DI NECESSITA’ COVID 19… VIRTU’ TRIESTINA !!!

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Neanche il COVID 19 ha potuto piegare le peculiari prospettive di una Trieste che ama mostrarsi al meglio ai visitatori e alla cittadinanza offrendo occasioni di eventi culturali che, spaziando nei vari campi della Scienza, della Letteratura e dell’Arte, tendano ad ampliare gli orizzonti in senso cognitivo e spirituale.

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Così, al fine di inaugurare una inedita stagione “Trieste Estate 2020...d’Autunno” e ricercando un intrattenimento che, nella vasta accezione del termine “spettacolo”, si conformasse alle misure di precauzione anti COVID; il Comune di Trieste, in collaborazione con la Casa del Cinema, ha programmato e realizzato la rassegna cinematografica “ LA CASA DEL CINEMA IN MOSTRA”.

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Pertanto, rendendo omaggio ad una forma d’arte fortemente penalizzata dalla emergenza pandemica, ai Festival Cinematografici Triestini sono state dedicate le serate da Sabato 19 Settembre a mercoledì 23 Settembre u. s., destinandone la location in piazza Verdi allestita COVID-free; con 200 posti a sedere per accedere ai quali, senza prenotazione e sino ad esaurimento, è stato riservato l’ingresso gratuito.

Le proiezioni sono state scelte accuratamente per assecondare e confermare e, persino, cercare di risvegliare i giusti valori cui fare riferimento per il bene e l’evoluzione personale oltre che della Comunità.

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Su questa linea, nella prima serata a cura di Maremetraggio/ShorTS International Film Festival, il film “Tony Driver” (produzione Italo-Messicana del 2019) del regista Ascanio Petrini ha portato sullo schermo la figura drammatica di un giovane italo americano, (nella realtà Pasquale Donatone) tassista a Yuma, che si è fatto chiamare Tony conformando il suo nome alla realtà di emigrato in America dove, insieme con la famiglia, all’età di nove anni, era arrivato dal quartiere Madonnella della nativa Bari..

Essendo stato arrestato in flagranza di un trasporto illegale di migranti introdotti in America attraverso il Messico; la scelta di farsi espellere in Italia, piuttosto che finire in un carcere dell’ Arizona, aveva segnato il suo ritorno in Puglia;dove, nella emarginazione della nuova vita solitaria in una grotta di Polignano a Mare, nonostante tutto si era rafforzato nella convinzione di non doversi arrendere neanche davanti ai limiti di quella Italia che gli era apparsa, in negativo, “un altro pianeta” connotato da un immobilismo privo di opportunità, troppo deludente rispetto al suo sogno Americano, sia pure andato infranto. Da questa proiezione è stata chiara l’indicazione a cogliere il vero senso della vita, da intendersi racchiuso nel volgere i propri passi in positivo per portarsi avanti, senza arrendersi davanti ai propri errori; anzi ricercandone il riscatto, persino nel tendere a superare i limiti del luogo in cui si vive. Da evitare, quindi, la remora dell’ assuefazione al pensiero castrante secondo cui “il Paese fa l’Uomo…” ; perché, contro tale preconcetto che si vorrebbe rafforzato da un presunto valico insuperabile “…l’Uomo non fa il Paese”, la sfida è comunque valida per una evoluzione personale e, se non per tutti, per altri che siano in grado di recepirne esempio e sprono.

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Nella seconda serata a cura della FVG Film Commission, il richiamo ad altro valore fondamentale attraverso la visione del film “Tutto il mio folle amore” girato fra il Carso e l’Istria dal regista Gabriele Salvatores, con un riadattamento sullo schermo della vicenda reale di Franco e Andrea, padre e figlio, che nel romanzo di Fulvio Ervas “Se ti abbraccio non aver paura” in un lungo viaggio in moto in giro per le Americhe vanno alla riscoperta di se stessi in un nuovo porsi del loro rapporto.

Una simile rideterminazione di relazioni familiari anche nel film, sia pure con la diversa posizione di un padre,Willy, che non aveva mai conosciuto il figlio, Vincent, nato da una relazione cui si era sottratto. Determinatosi a mettere fine alla sua pluriennale fuga, si trova davanti ad un nuovo percorso di vita in cui il proprio egoismo dovrà dissolversi davanti alla spinta ineludibile del nuovo sentimento che lo vedrà figura essenziale per il figlio trovato affetto da sindrome autistica. Magistrale il richiamo al superamento delle pulsioni egoistiche che possono inquinare il sacro valore della famiglia, primaria cellula della società, quando le sia sottratta la presenza di genitore, determinante specie per i figli la cui fragilità va adeguatamente supportata nella crescita fisica e morale.

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In terza serata, a cura dell’Associazione Anno uno/Festival I mille occhi, per gentile concessione di Collectif Jeune Cinéma e Rai3, alla presenza del regista Ellis Donda e delle interpreti; con “Altre epifanie / Engel und Puppe”, è stata offerta una anteprima deldittico ritrovato su amori ed esilio di Joyce e Rilke . Come dalle Epifanie Joiciane, la costruzione in sequenza romanzata dell’ amore per Nora con la trasposizione emozionale in controcampo notturno; altrettanto, dalle Elegie ispirate all’ amore di Rilke per Lou Andreas Salomè; la dimostrazione che “ le anime affini passano attraverso tutte le tempeste”. Un riferimento alla varietà dell’esistenza che, anche nelle traversie, si può caratterizzare con l’accezione più alta, proprio nel turbinio della passione per la vita sublimizzata nella poetica dell’amore.

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In quarta serata, a cura di Alpe Adria Cinema/Trieste Film Festival, è stata la volta del film drammatico Vincitore del Lux Film Prize nel 2019, “Dio è donna e si chiama Petrunya”, della regista Teona Strugar Mitevska .

La trama di questa pellicola, rivelazione dell’ultimo Festival di Berlino, si è svolta in tutta la sua espressione di rivendicazione di “genere” incentrata su una giovane donna, Petrunya, messasi in competizione con uomini cui avrebbe dovuto essere riservata la cerimonia religiosa con il pronostico di un anno di felicità e prosperità per chi avesse recuperato una croce di legno lanciata nel fiume. Essendo risultata vincitrice della sfida che non avrebbe mai dovuto vedere la partecipazione né tanto meno la vittoria di una donna, Petrunya è l’emblema della ricerca femminile di un affrancamento da ogni sottomissione e pregiudizio di cui la rappresentazione scenica è nella pretesa, avanzata da tutto il paese, circa la restituzione della croce che, invece, ad ogni costo, la indomita vincitrice si è determinata a tenere per sè, ad ogni costo.

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Nell’ultima serata, a cura diLa Cappella Underground di Trieste/ Science+Fiction Festival, con il film “Salyut 7- La storia di un’impresa” del regista Klim Shipenko è stata rievocata la vicenda della omonima Stazione Spaziale Sovietica che, nel 1985 in piena Guerra Fredda, perse il contatto con il Comando a Terra.

Essendo sprovvista di equipaggio che a bordo ne avrebbe potuto riprendere il controllo; a causa della improvvisa mancanza di risposte ai segnali che le venivano inviati, si erano temute le conseguenze tragiche di una sua caduta che, sulla Terra, avrebbe comportato la perdita di vite umane oltre alla compromissione del prestigio dell’industria spaziale sovietica con il rischio di una crisi diplomatica che avrebbe potuto portare ad uno scontro globale. La decisione dell’ invio degli astronauti sulla stazione per riprenderne il controllo individuando e risolvendone il guasto, avrebbe avuto la portata di una missione sino allora mai tentata nell’attracco di un oggetto fuori controllo nello spazio; essendo di estrema complessità, ancora oggi con l’attuale tecnologia avanzata.

Con lo stesso riferimento che, anche nell’ultima proiezione, va al di là della “caducità” delle opere umane la cui evoluzione, nel tempo, mostra il dipanarsi della nostra storia attraversando il percorso della perfettibilità della conoscenza; tutta la Rassegna Cinematografica è stata volta a ricordare che l’unica grandezza umana è nella continua infaticabile tensione a superare i limiti fisici ed etici della contingenza del suo vissuto.

Rosa Cavallo

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