INDONESIA
I misteriosi megaliti dell’isola di Sulawesi

L’isola di Sulawesi, precedentemente chiamata ’Celebes’, si trova tra le Molucche e il Borneo, nel bel mezzo dell’Indonesia. Si tratta di un posto davvero magico, le cui attrazioni sono poco note. Eccellenti spiagge isolate si alternano a numerose zone di montagna passando per le terrazze di risaie, infatti, l’isola equatoriale offre paesaggi davvero variegati, abitati da una ricca fauna dal carattere unico. Teatro di affascinanti cerimonie funebri, la terra dei toraja riesce a catturare la curiosità degli occidentali. Oltre alle sue bellezze naturali l’isola concede un vero e proprio spettacolo a cielo aperto, all’interno della giungla tropicale, è possibile ammirare i megaliti xenomorfi(ovvero di possibile origine aliena), chiamati dagli indigeni più semplicemente patung (statue in indonesiano).
Le statue sono state scoperte nel 1908 e, curiosamente, per il successivo secolo nessuno ha analizzato i reperti né tantomeno avanzato ipotesi al riguardo. Solo a partire dal 2001, gli studiosi hanno individuato oltre 400 megaliti dalle dimensioni che possono variare da 1 metro a ben 4,5 metri. Questi ultimi non sono stati ancora tutto catalogati ed esaminati ma è interessante notare come alcuni di essi si innalzano isolati, spesso sulle rive di fiumi, mentre altri sono disposti a coppie o in piccoli gruppi. Alcuni sembrano possedere sembianze umane, in genere è possibile distinguere un volto appena abbozzato, con grossi occhi rotondi e spesso organi genitali sovradimensionati, altri, almeno una trentina, rappresentano figure antropomorfe.
È impossibile non registrare la straordinaria somiglianza con i moai dell’isola di Pasqua. Tuttavia, oltre questo, le informazioni risultano poche e contraddittorie. Gli studiosi non riescono nemmeno a mettersi d’accordo sul periodo di realizzazione, c’è chi sostiene siano state scolpite 5 mila anni fa, mentre altri ricercatori fanno risalire i megaliti ad epoche più recenti, a circa mille anni fa.
Oltre alle figure antropomorfe ci sono i “kalambas”, ossia grandi tinozze di pietra, spesso scolpite con figure decorative all’esterno, dotate di enormi coperchi. Alcune hanno un unico vano, altre sono divise in due scompartimenti. Al momento lo scopo di tali ritrovamenti è ignoto. Per alcuni studiosi si tratta di vasche da bagno, ma appare alquanto improbabile. Per altri, invece, sarebbero delle camere di sepoltura. Nella zona della Bada Valley non sono state rilevate tracce di insediamenti antichi, né di utensili con i quali sarebbero state scolpite le pietre.
Per la gente del posto,i megaliti con facce umane, altri non sarebbero che persone in carne ed ossa, abitanti di un tempo passato, tramutati in pietra per punizione, come conseguenza di un maleficio. Una spiegazione che ricorre nel folklore locale in vari angoli del globo: giganti mutati in pietra al volgere di un’epoca. La spiegazione, naturalmente, non è soddisfacente, ma di certo affascinante.
Ognuno dei megaliti di Bada Valley ha la sua storia da raccontare. Oltre Palindo, c’è anche Langke Bulawa (Braccialetto Dorato), che è una donna alta un metro e 80. E la gente del luogo ha una storia per ognuno di loro come per un altro megalite Tokala’ea, che fu mutato in pietra perché stuprava le ragazze. Infatti la sua pietra è profondamente incisa da tagli che dovrebbero essere cicatrici. Poi c’è Tadulako, che era il protettore del villaggio ma rubò del riso e subì anche lui la trasformazione in granito.
Palindo o L’intrattenitore.
Saranno anche lastre di pietra immobili ormai da millenni ma sembrano essere animate da più vita di quanto non si possa immaginare. Perse nella vallata, sotto il cielo azzurro, attendono il ritorno di chi li ha costruite. Ciò che appare quasi certo è che non siano autoctone bensì trasportate da un altro luogo: sono venute dal cielo o dal mare?
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.