ISTANTANEE D’AUTORE

Leonardo DiCaprio

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Seguo Leonardo DiCaprio dagli inizi della sua carriera e lo reputo, oltre che un bravo attore, una persona interessante considerando i suoi impegni sociali.

Quando seppi che veniva a girare un film a Roma, dove sarebbe rimasto un anno, riuscii ad inserirmi nell’organizzazione.

Iniziate le riprese, c’era un ostacolo: la Produzione aveva severamente proibito di disturbarlo, quindi nessuno del personale poteva avvicinarlo per chiedere autografi o fotografie o altro.

Quelle che vedete qui sono fotogrammi del film.

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Dopo tanto pensare, mi venne l’idea che si trasformò nel mio colpo di fortuna.

Tra i vari aiutoregisti di Martin Scorses ce n’era uno italiano e gli chiesi se ci fosse la possibilità di fare anche solo una figurazione in una scena con lui.

Mi inserirono nelle scene di un’impiccagione nel ruolo del prete.

Dovevo impegnarmi per 5 giorni di lavoro.

Uscii dal reparto costumi con una enorme tonaca nera che scoprii avere due tasconi altrettanto smisurati.

Arrivai sul set e mi sedetti su una pedana ad aspettare.

Si passano molte ore così in questo mestiere.

Poco dopo arrivarono Cameron Diaz, Daniel Day Lewis e infine lui.

Mentre i tecnici stavano ancora preparando il set, mi accesi una sigaretta.

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Inaspettatamente DiCaprio si avvicinò e mi chiese l’accendino.

Infilai la mano nel tascone per cercarlo, impiegando un pò di tempo.

Mi giustificai dicendogli che la tasca era come una borsa.

Si mise a ridere, si accese anche lui la sua sigaretta e si sedette a fumarla, giocando con un aggeggio molto simile agli smartphone attuali.

Lo guardavo smanettare quell’apparecchio forse in maniera così sorpresa che mi spiegò cosa fosse.

Non capii niente, un pò per l’emozione e un pò per totale ignoranza tecnologica.

Quando quanlcuno gridò che si era pronti a girare, mi chiese se potevo reggergli le sigarette e quell’aggeggio in tasca.

E così passarono 5 giorni. Non c’era stato bisogno di disturbare per conoscerlo.

Ad ogni pausa veniva a fumare con me.

Il terzo giorno mi chiese dove fosse una sala con i videogiochi.

Telefonai ad un amico che non seppe darmi l’indirizzo ma mi fece capire il luogo.

Gli dissi che avevo difficoltà a spiegarlo a lui che non era di Roma e mi offrii di accompagnarlo, ma più per gentilezza che credendoci.

Mi chiese se la sera stessa verso le 9 potevo farlo.

Gli diedi appuntamento davanti a viale Mazzini 14 perché la sala era vicina.

Pochi minuti prima mi si accostò un’auto nera con mezzo finestrino posteriore aperto.

Si sporse e mi invitò a salire. Indicai all’autista dove andare.

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Scendemmo poco più avanti dell’ingresso.

Lui aveva un giubbotto col bavero rialzato e un cappello con visiera.

Arrivo al dunque: nella sala illuminata fiocamente solo dalle luci delle macchinette, riuscì a giocare più di un’ora senza che nessuno lo riconoscesse.

Finita di girare la scena, non ebbi più giustificazione per avvicinarmi a lui.

L’idea irreale che potesse nascere una forma di amicizia sfumò.

Terminate le riprese del film, non lo rividi più.

Mi feci bastare quell’avventura, prodottasi del tutto fortuitamente.

Per qualche giorno quello che allora l’attore più famoso del mondo era dipeso, seppur per sciocchezze, da me e dietro quell’apparato divistico c’era anche un ragazzo semplice che aveva bisogno di normalità.

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E rimane solo qualche fotogramma di quella scena di “Gangs of New York” e una dedica che conservo gelosamente.

Giacomo Carlucci

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