ISTANTANEE D’AUTORE

Franco Franchi

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Alcune generazioni, compresa la mia, hanno avuto come “compagni della domenica” Franco e Ciccio.

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Quando al cinema era in programmazione un loro film, pregustavamo giorni prima il divertimento del “dì di festa”.

Lavoravo già da qualche anno quando creai l’occasione per conoscerli.

Con Ciccio mi resi subito conto che sarebbe stato difficile smuoverlo dalla sua casa di via Chelini, ai Parioli. Ma solo per una forma di apatia che viveva in quel periodo.

Con Franco fu facile perché, come constatai in seguito, era una persona sensibile e generosa.

Nel gennaio del 1985 lo invitai alla cerimonia di apertura dell’Anno Internazionale della Gioventù che stavo organizzando al Palaeur di Roma.

La difficoltà di gestire un centinaio di ambasciatori e dei nomi famosi mi fece commettere qualche errore con degli ospiti.

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Quando lo presentai ed entrò in scena, sorridendo e poggiando la sua mano sulla mia spalla, raccontò che per entrare aveva pagato il biglietto.

Fu una lezione per me anche se più che un rimprovero sembrava una delle sue battute.

Gli promisi che mi sarei fatto perdonare.

Appena possibile, lo invitai in uno show in prima serata, condotto da Loretta Goggi, del quale mi occupavo.

Mandai un auto a prenderlo a casa e lo aspettai all’ingresso del teatro Delle Vittorie, accogliendolo con “tutti gli onori” e dedicandomi a lui.

Gli feci la sorpresa di farlo incontrare con Riccardo Pazzaglia, che lo aveva diretto in un film e che non vedeva da molti anni.

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Era contentissimo.

Mi raccontarono molti episodi divertenti; più che altro si divertivano entrambi ricordandoli.

Fu a partire da quella volta che cominciai a conoscere i due aspetti preponderanti della sua personalità.

L’aspetto gioioso, gestito con sobrietà, pur non andando mai sopra le righe come nei film, mi faceva però provare le stesse sensazioni che avevo da bambino.

Quando scherzava, mi facevano ridere le espressioni del suo viso che rendevano efficacissime le sue battute.

Non avrei mai pensato che un giorno quel personaggio si sarebbe esibito solo per me e provavo un senso di privilegio e quasi di stordimento nel riflettere su come certe fantasie della mia fanciullezza si trasformassero in realtà.

L’altro aspetto, invece, fu una scoperta che, oserei dire, mi destabilizzava.

Varie volte, quando si trattava o di lavoro o di argomenti seri, quel personaggio comico si trasformava, esprimendo una drammaticità inaspettata, davanti alla quale mi sentivo quasi intimorito.

Nel suo modo di parlare trapelavano una saggezza e un’autorità quasi carismatiche, non prepotenti e soffocanti.

In quei momenti percepivo il professionista autorevole e, soprattutto, l’uomo che aveva alle spalle una vita di sacrifici, di delusioni, di lotte, che l’avevano maturato ma non indurito.

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La sua “tonalità” di base era sempre la dolcezza.

All’interno di un’unica conversazione poteva essere padre, amico e maestro.

Ma è capitato anche che suscitasse in me un sentimento protettivo nei suoi confronti, quando emergeva un senso di stanchezza o di impotenza che provava in alcune vicende che gli erano successe.

E dalla più grave di queste ereditò una lacerante amarezza:: un pentito lo accusò di contiguità con alcuni mafiosi e perciò ricevette un avviso di garanzia per associazione mafiosa.

Lui che si limitava a fare il suo lavoro, che partecipava a centinaia di cerimonie ed eventi perché era richiestissimo ed amato da tutti, si sentì colpito profondamente da questa imputazione.

Lo ricevette Giovanni Falcone, che lo tranquillizzò informandolo che nulla era emerso di concreto e che quindi poteva stare tranquillo che non ci sarebbero state conseguenze.

Ma la ferita c’era stata e da essa si sviluppava il male che lo consumò.

(Le foto che mi ritraggono con Franco Franchi sono di proprietà)

Giacomo Carlucci

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