ISTANTANEE D’AUTORE
Milva

Ero stato invitato al Piccolo di Milano per assistere ad una cerimonia organizzata da Giorgio Strehler.
Seconda fila, seconda poltroncina, lato corridoio.
Mentre leggevo il programma, una donna si sedette nella prima poltroncina, salutandomi: era Milva.
Mi piaceva molto, desideravo conoscerla, ma non mi sarei mai aspettato che mi fosse servita su un vassoio così.
Vestita in tailleur grigio, capelli legati a “coda di cavallo”, sembrava che volesse nascondersi.
Seduta davanti a noi c’era Giulia Lazzarini che, forse sentendola chiedermi dove avessi trovato il programma, la riconobbe e si girò per salutarla; ma lei si alzò per starle più vicino e, per la breve durata dei saluti, le tenne la mano tra le sue.
Mi piacque quel gesto: un’artista immensa che era china a salutare un’altra artista immensa.
Le diedi il mio depliant e, quando lo richiuse, decisi di presentarmi e chiederle come potevo contattarla se le avessi dovuto proporre qualcosa.
Mi diede il suo numero di casa.
Non feci passare molto tempo prima di procurarle un passaggio televisivo, in quel caso dalla Carrà.
Le telefonai per farle una proposta e mi disse che ne avremmo parlato a Roma, invitandomi ad un suo recital all’Accademia di Santa Cecilia, dove sarebbe arrivata nel pomeriggio per avere il tempo di discuterne.
Nel giorno convenuto, la attesi all’ingresso degli artisti e mi condusse nel suo camerino.
E lì conobbi la Milva professionista, così diversa dalla donna semplice del primo incontro.
Volle definire tutti i dettagli della sua partecipazione ad uno show.
Si, -volle definire-, e non -volle sapere-, perché era chiaro che le danze le conduceva lei che curava i particolari di ogni sua esibizione.
Non ci demmo mai del tu.
Mentre parlavamo, la chiamarono per un breve prova e colsi la classe con cui evitò sia di lasciarmi nel suo camerino che di farmi attendere fuori dalla porta: “Mi accompagna?”
Rimasi a bordo palco osservandola.
Con educazione ma con fermezza dava le indicazioni ai tecnici, trattò con deferenza solo il direttore d’orchestra.
Attraverso queste esperienze imparavo a riconoscere i grandi artisti, quelli il cui carisma è capace di dominare sobriamente tutte le situazioni.
Tornati in camerino, le chiesi quale brano avrebbe voluto cantare nello show.
Rispose che lei non avrebbe cantato in un angolino di un salotto televisivo e che quindi il tutto si sarebbe limitato ad un’intervista.
Mentre pensavo “E adesso chi glielo dice alla Carrà???”, soggiunse “Raffaella mi conosce, non si sorprenderà, non si preoccupi!”
Superai quel primo esame e quello, poi, dell’accoglienza negli studi, dove l’assistetti con tutti i riguardi.
E così fu per le poche altre volte che capitarono finché mi fece capire delicatamente che la sua carriera stava per concludersi.
Mi aveva inquadrato come una persona affidabile e ogni volta, al momento del saluto, mi ripeteva: “Se non le rispondo, mi lasci un messaggio e la richiamo io”.
Aveva voluto vari miei recapiti.
Una domenica mi rintracciò a casa dei miei genitori; era l’ora del nostro pranzo e squillò il telefono. Andò a rispondere mia madre che tornò dopo molti minuti e mi disse: “Ti vuole Milva”.
Noi pensavamo che fosse qualche parente e, ora che scrivo questo ricordo di lei, mi sono chiesto di nuovo di cosa avessero parlato per così tanto tempo due persone che non si erano mai conosciute...
Forse in quel lasso di tempo, con un’altra madre, aveva potuto essere la Maria Ilva che concedeva a pochi.
(Le foto sono di proprietà dell’autore)
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