ISTANTANEE D’AUTORE
Stefan Milenkovic

Ho vissuto l’esperienza eccezionale di conoscere e frequentare un bambino prodigio.
A 12 anni aveva già tenuto oltre 300 concerti da solista e si era esibito alle Nazioni Unite, alla Casa Bianca, al Kremlino e in Vaticano.
Oltre al serbo-croato, sua lingua madre, parlava italiano e inglese.
Il violino era come se fosse una parte del suo corpo.
Suonava i grandi compositori senza spartito; era chiamato il nuovo Paganini perché ne aveva le stesse capacità.
La prima volta lo incontrai nella sua casa di Belgrado, nell’allora Jugoslavia, dove mi recai per una trattativa con i suoi genitori, che si concluse positivamente.
Tentai di instaurare un rapporto anche con lui, non volevo essere considerato freddamente come uno dei tanti organizzatori.
Lo conquistai con i miei giochini di magia e mi disse che gli piacevano i videogiochi.
Nel luogo del primo concerto in Italia, lo portai di mattina in una sala a giocare un pò.
Giunti a teatro verso le 18, organizzò le sue cose e mi chiese se potevano tornare in quella sala, dove giocò fino a 30 minuti prima dell’esibizione.
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Si potrebbe pensare che lo facesse per scaricare la tensione, ma sono certo che non fosse così.
Non provava alcuna tensione nell’affrontare un intero concerto; era tutto così incredibilmente naturale per lui.
Riusciva a provocare in me uno sdoppiamento di personalità: durante il giorno avevo a che fare con un ragazzino “vispo” , tanto per usare un eufemismo e nelle situazioni pubbliche ero il primo ad essere incantato di trovarmi di fronte ad un artista di fama internazionale, così anomalo.
La faccenda mi traumatizzò ancor più in due altre occasioni: quando, nell’intervallo di un concerto, mi chiese di giocare ad un biliardino che aveva adocchiato in una sala adiacente ai camerini e quando, in un teatro di Cosenza, dovetti sorbirmi anche il rimprovero dei genitori perché, con me ed il suo fratellino Filip, lui volle giocare a nascondino tra il primo e il secondo tempo.
Non sapevo se lo cercavo più a fini del gioco che a quello di ritrovarlo per ricominciare il concerto.
Un’altra fonte di ansia, ma per me, era il fatto che andasse a velocità sconsiderata sul suo skateboard.
Ogni volta sudavo freddo e mi inventavo di tutto per non farglielo usare.
Mi gratificava che si trovasse bene a lavorare con me; me lo dimostrava con varie dediche e in maniera plateale in un’occasione piuttosto difficile.
Eravamo al teatro Verdi di Firenze ed era giunta alla direttrice nel pomeriggio una diffida a tenere il concerto da parte della sua agenzia.
Fui convocato con i genitori per cercare una soluzione a quel problema; l’avvocato del teatro disse che, in quel caso, trattandosi di un minore non contrattualizzabile dunque, avrebbe dovuto decidere il ragazzo.
Fu chiamato e gli fu spiegata la situazione e lui, senza lasciarsi turbare, semplicemente rispose che non voleva più lavorare con quell’agenzia e che voleva lavorare con me.
Lo spettacolo quindi si fece e tutto continuò come prima.
Il sigillo, che mi diede una indicibile soddisfazione umana e professionale, lo appose quando andai ad ascoltarlo in un’esibizione in Austria, dove ero di passaggio; presentando un brano di Vivaldi disse che lo dedicava al suo amico e agente italiano presente in sala, pronunciando il mio nome.
Chi lavora nello spettacolo sa che questo capita rarissimamente, quindi immaginate come mi sentii.
Seguirono, insieme, altri concerti e programmi televisivi negli anni successivi ed il crescere lo rendeva più pacato ma non aveva attenuato la passione per i videogiochi.
Divenuto maggiorenne, decise di frequentare la prestigiosa Juillard School di New York.
Oggi continua ad esibirsi in tanti Paesi del mondo, insegna all’Università dell’Illinois e alla Juillard e i suoi masterclass sono richiestissime perle rare.
Da molto tempo è un uomo ma per me è sempre il ragazzino che mi faceva giocare mentre lavoravamo come due adulti.
(Le foto sono di proprietà dell’autore)
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