ISTANTANEE D’AUTORE

Iva Zanicchi

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Per molte volte, incontrandola, non avevamo mai avuto l’occasione di presentarci.

Successe, invece, 8 anni fa, quando, essendo direttore di un teatro di Napoli, ospitai la prima nazionale di una commedia in cui recitava.

Era la sua prima volta.

Lei è la tipica persona con cui certamente non ci si annoia.

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La sua ben nota schiettezza è ormai dominante nella sua personalità e quando cerca di “essere diplomatica” fa più ridere di quando infila una battuta dietro l’altra nel suo parlare sempre spontaneo.

Ma c’è un altro aspetto che è possibile cogliere e che si staglia nettamente proprio perché inserito in un carattere così gioviale e allegro: la sua sensibilità.

In questo breve ritratto cito 3 occasioni in cui l’ho sperimentata.

Mia madre aveva una predilezione per lei, forse perché si riconosceva molto nel suo modo di essere.

Un pomeriggio che ero solo con lei, le dissi questo particolare e che mi dispiaceva di non farle conoscere, perché viveva a 80 km da dove eravamo.

Allora le telefonammo e stettero un bel pò a parlarsi, soprattutto dei nipoti per i quali entrambi avevano preparato il corredino nello stesso periodo, lavorando “a maglia”.

Dandole del tu e chiamandola per nome, fu capace di annullare immediatamente tutte le distanze e notavo che il tutto era perfettamente naturale, senza alcuna forzatura.

Allora le sue partners nello spettacolo erano Corinne Clery e Barbara Bouchet.

Le invitai ad un pranzo in un ristorante di fronte a Castel dell’Ovo, dove il proprietario e mio amico Antonio ci aveva riservato uno spazio vista mare.

Durante il pranzo si giunse a parlare della sua esperienza come deputato responsabile degli aiuti internazionali e ci raccontò dei suoi viaggi in Africa; un argomento che la toccava in profondità ed espresse la sua delusione e la sua impotenza sulle modalità in cui questi aiuti venivano concessi e che avevano solo un marginale impatto sulla gente che soffriva.

Si dimise proprio perché non riusciva ad accettare che non si potesse fare di più e meglio.

Con fatica la riportammo alla sua dimensione abituale che è quella di creare gioia e piacevolezza con le persone con cui si relaziona.

In quei giorni colsi un altro elemento in lei, inaspettato, considerando che da decenni era abituata ad avere un pubblico davanti.

Era molto emozionata e timorosa per quel debutto.

Man mano che si avvicinava l’orario di inizio spettacolo, la tensione era sempre più palpabile ed ebbi l’ennesima conferma di un sentimento che avevo già notato prima in altri grandi artisti che avevo conosciuto.

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Per quanta esperienza si possa aver accumulato, i primi istanti in cui si va in scena sono sempre critici.

Finito lo spettacolo, andato benissimo, andai al suo camerino, dove si era già chiusa dentro per cambiarsi.

Quando ne uscì, le porsi un mazzolino di fiori; la tensione era scomparsa per fare spazio al conseguente rilasciamento del corpo.

Accettò il mio omaggio, emozionata, e mi strinse il braccio.

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Ricambiai allo stesso modo, sorridendole.

Praticamente, senza usare parole, lei mi disse che era contenta di avercela fatta ed io le dissi che ero felice della sua prestazione eccellente.

Avendo avuto l’idea di un progetto da realizzare con lei, pochi mesi dopo le telefonai chiedendole di incontrarci.

Mi invitò a casa sua, una bella villa in un parco della Brianza.

Era il periodo natalizio quando andai.

Ci sedemmo in cucina, tagliò a fette un panettone quasi intero e lo mise in tavola.

Mentre io le spiegavo la mia idea, lei mangiava.

Riuscii ad accaparrarmi l’ultima fetta con la scusa che volevo sapere cosa pensasse di ciò che le avevo detto.

Finita la conversazione, volle mostrarmi la sua casa e soprattutto l’albero di Natale e il grande presepe che lei stessa aveva allestito.

Quella sera emerse la donna che lei veramente vorrebbe essere sempre, per star bene con se stessa; la nonna, la zia e l’amica che tutti vorremmo avere tra i nostri affetti.

(Le foto sono di proprietà dell’autore)

Giacomo Carlucci

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