I DISCEPOLI DELLA VIA

La risalita verso Gerusalemme

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La domenica dell’Angelus ci proietta al tema della compassione, intesa come atteggiamento per riscoprire la vera cristianità. La liturgia parte dal vangelo di Luca, citando la parabola del buon Samaritano. Si tratta di un racconto avvincente, che mette in luce tutte le sfaccettature della vita evidenziando come spesso, presi dai nostri programmi, ci dimentichiamo di chi soffre.

Attuale e ricorrente, il Samaritano ci spinge a porci delle domande significative sul nostro cammino di cristiani, mettendoci in gioco a 360 gradi. Lo stesso pontefice ricorda che su quella strada sono passati un sacerdote e un levita, i quali, assorbiti dalla routine, non hanno offerto soccorso a chi era stato picchiato e derubato. La ferita più grande risiede nel disinteresse di chi si proclama credente. Tuttavia, la delusione dinanzi a tanta cattiveria schiude ben presto un barlume di speranza, perché il Samaritano, malvisto da parte di quel popolo, scende da cavallo e presta soccorso.

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Quella che apparentemente può apparire simile a un racconto per bambini, è in realtà una storia che definisce chiaramente la vera attitudine del buon cristiano. Proprio sulla figura del discepolo, Francesco afferma: “È significativo che i primi discepoli furono chiamati discepoli della via. Il credente infatti somiglia molto al Samaritano, perché come lui è un viandante, sa bene di non essere una persona arrivata”. Questo mettersi in gioco per il prossimo non è un rischio, bensì una promessa d’amore. Aiutare chi vive una situazione difficile non è per cuori deboli, anzi: segue i passi del Signore, che, per dirla con un’espressione ironica, non è certamente un sedentario! L’essere in cammino ci porta a scorgere le mille sfaccettature dell’esistenza; ogni vita umana ha il profumo di eternità.

Bergoglio prosegue la sua omelia soffermandosi ancora sull’argomento e specifica: “Per prima cosa il viandante apre gli occhi sulla realtà, non è egoisticamente chiuso nel giro dei propri pensieri. Invece il sacerdote e il levita guardano oltre, mentre il Vangelo ci educa a vedere”. La stoccata del Papa non esclude i tanti credenti impantanati nei rituali e nei dogmatismi. Infatti, chi vive costantemente le realtà parrocchiali deve essere il primo testimone di fede, capace di leggere fra le righe le varie situazioni precarie esistenti e diffuse nella nostra società. Pertanto, tutto deve ri-partire dal Vangelo, unica guida sicura durante la tempesta.

Le parole conclusive del Papa costituiscono, più che una preghiera, una spinta concreta verso la perfezione cristiana: “Chiediamo al Signore di farci uscire dalla nostra indifferenza egoistica e di metterci sulla Via. Chiediamogli di avere compassione”.

Giuseppe Capano

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