I MÀNDALA

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Prima di addentrarci nell’etimologia e nel significato dei MÀNDALA, un’osservazione sulla pronuncia: per chi non lo sapesse - o per chi l’avesse dimenticato - la parola si pronuncia con l’accento sulla prima “a”.

Detto questo, proseguiamo con l’etimologia, elemento fondamentale per comprendere il concetto di ciò che stiamo trattando.

Màndala è un termine di origine sanscrita (= devanāgari) dai molteplici significati. Il più comune è quello di “cerchio”, “centro” o “disco” (in quest’ultimo caso si riferisce al Sole e alla Luna).

In ogni caso esso è una rappresentazione simbolica del mondo e del cosmo: potremmo definirlo un “cosmogramma”.

Un’altra etimologia possibile - quella religiosa - risale all’XI secolo: la troviamo nel trattato di Abhinavagupta: “Luce dei Tantra”. In questo caso màndala significherebbe: ciò che “raccoglie l’essenza” (da manda = “essenza" e lā = “prendere”).

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Màndala tibetano by Enea Mariani - www.enearte.com

I màndala sono un’arte antichissima di matrice buddista e vengono tradizionalmente realizzati dai monaci seguendo una pratica particolare: il dul-tson-kyil-khor, letteralmente “màndala di polvere colorata”.

Chiaramente, sono molto più di una meravigliosa forma d’arte: che siano circolari, triangolari o quadrangolari, essi sono unsimbolo spirituale e rituale in cui le divinità sono invitate ad entrare per mezzo di specifici MANTRA.

I mantra sono delle parole sacre che, ripetute più e più volte, permettono al fedele di entrare in uno stato di meditazione profonda e di consapevolezza di sé.

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In effetti il màndala è un esercizio spirituale che i monaci buddisti realizzano da tempi immemorabili, con l’unico scopo di compiere un viaggio all’interno di loro stessi, per purificare lo spirito.

Anticamente venivano realizzati con pietre preziose ma oggi utilizzano sabbie finissime o sassolini colorati.

Qualunque sia la forma geometrica prescelta (tonda, triangolare o quadrata), sono sempre realizzati attorno ad un fulcro perché “tutto parte dal centro”.

Per realizzare un màndala, i monaci seguono un rituale ben preciso e spesso ci vogliono giorni interi prima di concluderlo; il movimento perfetto e ripetitivo della mano e l’ipnotico rumore dello sfregamento sulle cannucce, li induce in una sorta di trance che favorisce la meditazione e la consapevolezza di sé.

Meditando sul màndala, il discepolo rivive l’eterno processo della creazione-distruzione-creazione periodica dei mondi:

entrando così in comunione con l’Universo, egli eleva sempre più la sua carne (= il mondo materiale) ad un piano superiore, quello spirituale e trascendente.

A lavoro concluso, il màndala viene immediatamente distrutto e le sue polveri mescolate e poi gettate in un fiume per significare che in questo mondo nulla dura per sempre e che non ci si deve attaccare alle cose materiali.

Una bella lezione per noi occidentali, così attaccati al “frutto dell’azione”.

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In Occidente il termine màndala è entrato nell’uso comune con un significato leggermente diverso: infatti è essenzialmente indirizzato alla ricerca dell’equilibrio interiore.

I màndala circolari, in particolare, pare abbiano un forte ascendente sulla psiche umana: contenendo i pensieri e le emozioni negative, reindirizzano le persone verso un più marcato senso di armonia e di pace.

Carl Jung fu il primo ad usare il potere terapeutico dei màndala per aiutare i suoi pazienti, pratica tuttora in uso.

Durante le sedute di psicoterapia i soggetti, in base alla forma e ai colori scelti per disegnarli, forniscono infatti al terapeuta importanti indizi sul loro stato emotivo e psicologico.

I màndala lavorano su 3 piani di coscienza e possono produrre effetti sia sul piano fisico che su quello psicologico e spirituale, agendo là dove ce n’è effettivamente bisogno.

Tolto il contesto clinico, chiunque può dilettarsi nel disegno o nella realizzazione dei màndala: è provato che questa attività nutre la mente con pensieri positivi e favorisce la connessione con il sé profondo e con l’Universo.

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Enea Mariani mentre realizza il màndala tibetano - www.enearte.com

I colori sono una parte fondamentale dei màndala poiché ciascuno di essi ha un significato ben preciso.

Dimmi che colore usi e ti dirò chi sei… o che cos’hai!

Sgraniamoli uno ad uno:

Il bianco è legato all’intuizione e al divino: quando in un màndala si lasciano spazi bianchi, significa che si vuole entrare in contatto con il trascendente;

Il rosso rappresenta l’energia vitale e l’intraprendenza: se meditato sul màndala, aiuta a guarire dalla pigrizia;

Il giallorimanda all’intelletto e rappresenta la chiaroveggenza e la saggezza;

Il nero simboleggia il bisogno di riflessione e di purificazione: è il colore della “pausa”;

L’azzurro rappresenta l’entità spirituale;

Il verde rimanda alla natura e rappresenta, quindi, la crescita di tutto ciò che è stato seminato dentro di noi;

Il violarappresenta l’unione armonica tra ludico e trascendente: è il colore del mistero;

Il marrone, colore della terra, richiama la fertilità;

L’arancione rappresenta lo stato di allegria.

In un momento buio come quello che stiamo vivendo, invito ciascuno di voi a “nutrire” la mente con il colore, disegnando o realizzando màndala: un piccolo gesto per un grande beneficio!

Simona HeArt

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