I “webeti”, i nuovi malati dall’abuso di social network

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Ora c’è anche lo studio scientifico a confermare ciò che si vociferava all’interno di discussioni più o meno accademiche e nei salotti televisivi: il nesso tra autocompiacimento social e il ridotto tasso di empatia verso gli altri. Sull’ultimo numero di «Psicologia contemporanea» è stata pubblicata una ricerca dal titolo “Nuovi media e narcisismo digitale”, uno studio molto attuale in un’epoca zeppa di affezionati consumatori di social media. La ricerca, per la prima volta nel nostro Paese, affronta il rapporto che esiste tra il narcisismo di persone che passano molto del loro tempo sui social e la loro poca empatia verso gli altri. Lo studio lancia un allarme grave, ovvero che la cattiveria, la stupidità e il razzismo, l’odio online, sono le principali prerogative della maggioranza dei messaggi che circolano sul web.

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È la conferma dell’esistenza di quella particolare categoria di stupidi del web che Enrico Mentana ha etichettato con una crasi, «webeti». Nella ricerca si affronta il tema del narcisismo digitale e sono dettagliatamente elencate le sue caratteristiche: onnipotenza, megalomania, egocentrismo, allentamento del senso della propria mortalità.

cms_7687/3.jpgIl campione scelto per l’analisi di questa forma di autocompiacimento 2.0, è costituito da 125 studenti dell’Università di Messina, con un’età compresa tra i 19 e i 30 anni e di genere prevalentemente femminile. Il profilo che viene fuori dallo studio è di un cosiddetto alessitimico, cioè di colui che, al di là del contesto virtuale, «ha difficoltà a comunicare le proprie emozioni e, in caso di disagio, non riesce a considerare l’altro come una fonte di aiuto». In parole povere si tratta né più né meno che di un narciso che sui social vede riflessi solo i suoi clic, non considerando affatto tutti gli altri utenti. Il sentirsi al centro dell’attenzione provoca una sensazione di autostima solo a livello virtuale e limitata all’interazione con uno schermo, ma nella vita reale si trasforma in perdita di autocontrollo, emarginazione virtuale, fuga nel bozzolo di un nickname con cui “divertirsi” a spacciarsi per quello che non si è.

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Il web diventa la proiezione di persone con una doppia personalità, ovvero di soggetti che nella realtà sono ben diversi da come si sono invece ritratti sulle pagine web. I social rischiano dunque di produrre danni collaterali di una certa gravità sulla personalità di molti utenti che fanno un uso smodato e impersonale delle piattaforme di condivisione, ovvero si profila il pericolo di veder coltivare soggetti privi di una propria personalità e di uno specifico spessore. Il passo verso forme patologiche come ossessione, depressione, dipendenza è breve. La rete è lo strumento con la più alta capacità diffusiva d’informazioni, e dunque come tale sarebbe già di per sé pericolosa, dato che al suo interno l’odio può essere amplificato con una capacità di circolazione maggiore rispetto ad altri mezzi. Questa sua caratteristica non può essere fermata o limitata, ma può solo essere controbilanciata nell’uso positivo che della rete fanno molti utenti a discapito di quei pochi ebeti del web.

Andrea Alessandrino

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