Il diritto ad esistere

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È una questione di coscienza. Come tutte quelle che riguardano la vita. Il riferimento è alla vicenda del piccolo Charlie, attaccato a una macchina che respira per lui perché i suoi muscoli sono talmente deboli da non riuscire nemmeno a garantire le funzioni primarie.

I fatti li abbiamo narrati. L’abbiamo fatto noi. L’ha fatto la stampa italiana e mondiale tutta.

Se dovessimo esprimerci, accantonando il sentimento, forse diremmo – come fa la comunità scientifica – che staccare la spina è un atto doveroso, nella tutela della dignità umana. È questo che ha sancito il tribunale inglese, facendo appello, come la Bibbia insegna quando si è chiamati a ricoprire il ruolo di Satàn – che sia di pubblico accusatore o di giudizio - alla capacità di analizzare i fatti, agendo al di sopra delle parti. In tal caso del “Child best interest”. Perché per Charlie speranze non ci sono, date le condizioni cliniche irrecuperabili, a cui si aggiunge, stando all’opinione dei medici del Great Ormond Hospital, uno stato di forte sofferenza.

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha decretato di non avere autorità per decidere su questa materia, rendendo di fatto esecutiva la decisione del giudice Francis, che ha disposto la morte assistita in ospedale perché il desiderio – sacrosanto – dei genitori di fare qualcosa ad ogni costo, potrebbe cagionargli ulteriore dolore.

La cronaca clinica ci ha raccontato di una patologia irreversibile che ha già colpito miliardi di cellule negli organi vitali. La Corte britannica è convinta che nessuna cura sperimentale riuscirebbe a sanarla.

Possiamo impegnarci per capirlo, ma non riusciremmo a fermare la nostra umanità. Perché quel senso di appartenenza a una specie, ci porta per istinto a tutelare la vita, rispondendo a un codice impresso nel Dna a cui obbedisce, fino all’ultima possibilità, ogni cellula. L’esistenza è il più prezioso tra i beni e va protetta finché c’è speranza. È umanamente impossibile pronunciarsi in favore della morte. Non è questione di religione, almeno non solo.

La riprova è nell’onda emozionale che ha avvicinato i nostri cuori, in un comune sentire. È nel nodo che ci ha serrato la gola, fino alle lacrime. È nella non accettazione di una sentenza scritta dall’uomo imperfetto e ignaro di cosa davvero si celi nei pensieri incontaminati di una creatura, nelle sue sensazioni che non hanno avuto il tempo di scrivere nemmeno qualche pagina del registro dell’anima e che forse vi annoteranno solo l’inadeguatezza dell’uomo di questo tempo, il suo bisogno di dominare la vita, decidendo dell’altrui morte. Forse.

Perché può darsi che il corpicino straziato stia aspettando solo di essere lasciato libero. Come possiamo saperlo…?

Certo è che premendo il dito su quell’interruttore, se ne andrà un pezzo di noi, assieme alla certezza che la legge, nella laica superiorità, tuteli il diritto ad esistere.

Silvia Girotti

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