Il disumano sequestro di 43 operai a Melito
Arrestato l’imprenditore a capo dell’attività
«Possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo»
Estremamente significative le parole di Lev Tolstoj, che purtroppo non possono dirsi valide per i 43 operai italiani che lavoravano a nero a Melito, in provincia di Napoli, e che sono stati segregati per sei ore in un locale tetro, in cui mancavano persino i servizi igienici e le finestre. Tra loro anche una donna incinta e due minorenni che, assieme agli altri, sarebbero stati nascosti dall’imprenditore dietro una porta blindata al fine di sfuggire ai controlli sui sevizi della mensa, scoperta in seguito inesistente dalle indagini.
L’imprenditore che era a capo dell’attività, nella quale venivano lavorati pellami per produrre borse e calzature per famose aziende di moda, è stato arrestato dai carabinieri del Nas, coadiuvati dai militari della stazione di Marano e dal nucleo elicotteri di Pontecagnano, con l’accusa di sequestro di persona, sfruttamento sul posto di lavoro e intermediazione illecita.
Accusa estremamente valida considerata la vicenda, che oltre a suscitare sgomento tra le vittime, suscita anche riflessione.
Quella del lavoro a nero è una piaga difficile da arginare, proprio come ardua è la vita di tutti quegli immigrati come gli indiani sikh che, quotidianamente, per sopportare 12 ore di lavoro nei campi, sono costretti a ingoiare capsule di oppio.
Casi come quest’ultimo, e come quello che ha scosso l’Italia il 16 novembre, sono esempi di quanto afferma Karl Marx quando parla di attività umane in cui l’uomo si sente bestia.
Il trattamento riservato ai lavoratori a nero, ai quali non viene riconosciuto uno dei diritti fondamentali per l’uomo, espresso nell’articolo 4 della Costituzione Italiana, si spinge oltre i termini etici.
Proprio perché è la Costituzione stessa a farsi garante non solo del diritto al lavoro, ma anche, e soprattutto, della promozione delle condizioni che rendano effettivo tale diritto, è compito della giustizia provvedere alla tutela dello stesso.
L’arresto dell’imprenditore di Melito, che attualmente si trova ai domiciliari, è una logica conseguenza del disumano accaduto, a seguito del quale anche il laboratorio, inclusi i macchinari utilizzati al suo interno, è stato sottoposto a sequestro. Il valore complessivo di quanto sequestrato si aggirerebbe intorno ai 2 milioni e mezzo di euro, cui si aggiungono 600mila euro di sanzioni penali e amministrative, contestate all’imprenditore, per la violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e sulle condizioni igienico-sanitarie.
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