Il mondo virtuale tra crimine e realtà (Parte I)

LE INTUIZIONI DELLA MENTE

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L’hacking è un’attitudine e l’essere hacker è uno stile e un modello di vita, un atteggiamento, una mentalità, non necessariamente collegata alla tecnologia, ma relativa al modo in cui si affrontano e si gestiscono le situazioni.

Ciò che distingue un hacker non è la competenza tecnica ma i suoi comportamenti, la sua condotta ed il fine di questa. Un hacker non lascia nulla al caso e, da buon membro di una comunità quale quella hacker, si appresta a seguire un codice di responsabilità, un sistema di valori, una “filosofia di socializzazione, di apertura, di decentralizzazione” (Levy S.,1984): la così designata etica hacker.

Essa, non racchiusa in un libro né tantomeno codificata in alcun modo, rappresenta un’ideologia condivisa che si trasmette mediante il dialogo ed il confronto ed è impostata sulla condivisione di valori, concetti, norme, esperienze, comportamenti, relazioni e costumi che contraddistinguono il mondo dell’hacking. Analizziamola nel dettaglio.

L’etica hacker è l’esito di un processo collettivo e culturale ad opera dell’intera comunità hacker, si esplica nelle pratiche degli hacker ed ha una serie di implicazioni sociali, politiche e culturali.

Secondo lo Jargon File (documento sulla cultura hacker) l’hacker ethic consiste nell’idea che la condivisione di informazioni sia un bene e che la responsabilità etica degli hacker sia di condividere le proprie conoscenze scrivendo testi e programmi open source e facilitare l’accesso all’informazione ed alle risorse di calcolo ovunque sia possibile. Il system-cracking, atto per divertimento ed esplorazione, può essere eticamente accettabile sinché il cracker non commette furti, atti vandalici e non si appropria di dati confidenziali (privati) e condivide la conoscenza acquisita.

Alcuni tra i principali valori di riferimento sottostanti agli atti degli hacker ed agli obiettivi che essi perseguono sono l’uguaglianza, la libertà, la cooperazione, il rispetto, la lealtà, la condivisione del sapere ed il diritto illimitato all’informazione.

L’etica hacker, quindi, mira a risolvere i problemi divertendosi, stando insieme, sfuggendo a logiche gerarchiche, ridistribuendo a tutti le competenze, conoscenze ed esperienze acquisite, “socializzando saperi senza fondare potere” (Moroni P., 1997): il tutto all’insegna della pratica interattiva e del copyleft (atteggiamento di contrapposizione al copyright).

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Gli elementi propulsori sono l’entusiasmo, la passione, la convivialità, la curiosità, la voglia di divertirsi, il piacere di sperimentare di carattere prettamente ludico ma questi celano altrettanti principi sociali, politici ed estetici che si possono riassumere in sei concetti fondamentali:

1) ‘All the tecnology to the people’: questo concetto rivendica l’accesso totale, illimitato e completo dei computer sui quali ‘mettere su le mani’ (principio dell’hands-on).

2) ‘informazione libera e accessibile’: il sapere deve essere diffuso lottando contro ogni barriera, indipendentemente dal fatto dell’essere o meno coperto da copyright (diritto alla libertà di copia). Il diritto all’accesso ai saperi rende gli individui liberi di formarsi un proprio giudizio su cui basare scelte e decisioni. Da questo principio ne scaturiscono molto altri, che sono: la condivisione di informazioni ed esperienza con la comunità di appartenenza, lo scambio e distribuzione delle risorse acquisite, di dati tecnici ed attribuzioni simboliche mettendo in gioco un ‘saper fare’ al servizio di un ‘far sapere’. Per far ciò doti imprescindibili dell’hacker devono essere: fedeltà, lealtà, cooperazione, supporto reciproco, fiducia reciproca. Questo principio racchiude in sé la filosofia che guida “l’arte dell’hackeraggio” (Sterling B., 1993).

3) ‘Dubitare dell’autorità e contrapporsi ad essa’: l’hacker manifesta un netto rifiuto della cultura dominante (a cui si contrappone come movimento con vocazione antagonista e neo-underground) che mal si coniuga con il suo spirito di ricerca costruttiva, esplorativa e innovativa. Il PC - e con esso la tecnologia - viene contestualizzato nuovamente e ricollocato in un ambito alternativo, differente da quello sociale di riferimento. Esso non è più uno strumento di potere nelle mani di pochi ma un potente e potenziale mezzo sovversivo, di opposizione ed intrusione.

4) ‘Giudizio su base meritocratica’: i criteri su cui si fonda la valutazione degli hacker sono l’abilità, la conoscenza e l’estro digitale. Gli hacker sono giudicati sulla base del proprio operato e non su falsi parametri quali gender, età, ceto, etnia e posizione sociale. Si valuta esclusivamente il potenziale ed il contributo del soggetto al progresso dell’hackeraggio. È per questo che raramente esistono gerarchie interne ben definite a parte quelle, abbastanza sfumate, basate sul livello di competenza. Da ciò risulta che la struttura fondante del mondo hacker è costituita da una rete cooperativa di relazioni non gerarchiche (laddove esista un leader esso va a rivestire non il ruolo di una figura autoritaria quanto piuttosto quello di organizzatore, coordinatore o iniziatore delle attività del gruppo di cui fa parte e di cui, spesso, ne è il fondatore).

5) ‘Creare arte con un PC’: da ciò scaturisce una certa estetica dello stile di programmazione; il PC, sfruttando il carattere flessibile dei programmi, può divenire il mezzo mediante il quale esprimere le proprie potenzialità liberando mens et corpus.

6) ‘Miglioramento della vita con i PC’: gli hacker hanno mostrato una nuova modalità di interazione con i PC ampliando la tradizionale prospettiva sinora conosciuta. Uno sconvolgimento conoscitivo di grande portata, seppure temporaneamente oltraggioso, dei codici dominanti e convenzionali, un loro abuso e l’invenzione di nuovi usi. Gli hacker continuano la loro sfida con il progresso e con i PC sperimentandone limiti e risorse.

Nonostante esistano molteplici ‘subculture’ hacker ed altrettanti modi di intendere l’hacking, l’etica hacker, aldilà delle differenze esistenti, contribuisce a far sentire gli hacker parte integrante di un’unica grande comunità e di un’unica grande controcultura (nozione rivelatasi più adeguata a definire la comunità degli hacker, rispetto a quella di cultura, poiché in quest’ultima si ritrovano, a differenza delle principali sottoculture, numerose caratteristiche tipiche di un’‘istanza’ contro culturale). Essa costituisce, inoltre, nel mondo dell’hacking, la cornice concettuale di riferimento.

L’intera filosofia hacker è racchiusa in un manifesto chiamato ‘Hacker manifesto’ o ‘The conscience of a hacker’ scritto nell’8 gennaio del 1986 dallo statunitense Loyd Blankenship (noto come The Mentor), dopo il suo arresto. Esso viene considerato, tutt’oggi, la pietra miliare della cultura hacker e ad esso continuano ad ispirarsi singoli hacker o gruppi per la stesura dei propri manifesti.

Il gergo hacker

cms_15252/3.jpgIl popolo hacker condivide un linguaggio comune formato da un lessico permeato dalla cultura hacker American-English e dalla specifica terminologia informatica: esso costituisce l’espediente esclusivo e primario mediante cui avviene la comunicazione intergruppale e intragruppale.

Lo slang hackeristico, volutamente criptico ed allusivo, è composto da implicazioni, variazioni e sfumature sulla lingua inglese. “Parole come winnitude [la stoffa del vincente] e foo [nome simbolico che indica file, nomi o programmi] erano costanti del vocabolario hacker, scorciatoie usate da persone relativamente poco discorsive e introverse per comunicare esattamente quel che avevano in testa” (Levy S., 1984). Con tale ‘bricolage linguistico’ (Lévi-Strauss C., 1962), l’hacker si esprime con uno stile fortemente ironico, pungente e, attraverso giochi di parole, rime e contrazioni prendono forma parodie e sfide alle convenzioni linguistiche dominanti al livello della decodifica: una rinnovata ‘guerriglia semiologica’ (Eco U., 1975).

L’hacker, guidato dal suo forte spirito sovversivo, tenta intenzionalmente di provocare e contrapporsi alla cultura regnante. Il duello tra controcultura hacker e cultura dominante, a colpi di neologismi ed espressioni gergali alternative, va oltre il piano semantico ed il rifiuto delle comuni pratiche linguistiche: esso si estende alla più generale visione del mondo da due prospettive antagoniste.

Il gergo hacker, quindi, risulta funzionale a due obiettivi: escludere ed alienare l’outsider ed accomunare, rafforzando il senso di appartenenza e di inclusione dei membri della comunità.

L’appropriazione di materiali linguistici eterogenei, ma omologhi ai valori e all’etica hacker, rafforza la struttura interna del mondo dell’hacking. Il gergo, in quanto codice condiviso, consolida il legame simbolico tra i membri della comunità, coniuga valori e stili di vita del gruppo e promuove la nascita di un’identità comunitaria alternativa.

Un elemento che caratterizza fortemente il gergo hacker è la sua adattabilità agli ambienti dinamici della società dell’informazione che si esplica nella sua continua trasformazione, riflesso della costante evoluzione del contesto in cui tale gergo si genera.

Un esauriente compendio del gergo hacker è lo Jargon File, il più prestigioso dizionario di terminologia hacker che fa luce su vari aspetti della tradizione, del folklore e dello ‘humour’ hackeristico. Iniziato da Raphael Finkel dell’Università di Stanford nel 1975 e passato poi in gestione a Don Woods del Massachussets Institute of Technology (MIT), è stato dato alle stampe nel 1983 con il titolo di ‘The Hacker’s Dictionary’, un vero dizionario Hackerish-English di 1961 termini.

Leonardo Bianchi

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