Il mostro di Marcinelle chiede perdono

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1956, dal porto di Anversa è in procinto di salpare una nave diretta in Burundi. I suoi passeggeri sembrano animati da grandi speranze e da aspettative di ogni genere: sognano di guadagnare fama e ricchezza, di poter trovare in Africa quella legittimazione sociale che in patria gli è sempre mancata. Fra di essi, vi sono anche Victor e Jeanine Dutroux, due insegnanti provenienti dalla periferia di Bruxelles convolati a nozze qualche anno prima. Jeanine stringe fra le braccia un pargolo dall’aria innocua con sole poche settimane di vita: non può sapere che da grande quel bambino sarebbe diventato uno dei più feroci serial killer d’Europa.

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Per Marc Dutroux, questo il nome del piccolo, la vita si rivelò più ardua del previsto. L’esperienza in Africa andò malissimo, al punto che all’inizio degli anni ‘60 i suoi genitori vennero costretti a rimpatriare; le tensioni fra i due, forse anche a causa della frustrazione legata al proprio fallimento, iniziarono a crescere sempre di più, al pari dei litigi coniugali. Al figlio più piccolo, Jacob, sarebbe ben presto stata diagnosticata la schizofrenia, dando avvio a un lungo travaglio psichiatrico che sarebbe terminato solo trent’anni dopo con la sua impiccagione. Per quanto riguarda Marc, durante la sua infanzia venne ripetutamente picchiato e umiliato dai genitori finché il ragazzo, stanco di quella situazione, tentò in tutti i modi di emanciparsi dalla famiglia. Fin dalla sua adolescenza iniziò a lavorare come elettricista ma, soprattutto, nell’81 sposò Françoise Dubois, un’orfanella incontrata lungo una pista di pattinaggio.

cms_10149/3v.jpgLa coppia ebbe due figli, ma il matrimonio non durò: Marc era un marito estremamente violento, che più volte avrebbe pestato sua moglie; inoltre, la sua fedeltà sarebbe risultata quantomeno ondivaga. Già, perché nel frattempo una nuova ragazza aveva rapito il cuore dell’elettricista, un’intellettuale vallone dai folti capelli biondi e lo sguardo un po’ malinconico. Michelle Martin, questo il nome della giovane, era un’insegnante e aveva frequentato le scuole migliori, esattamente come i genitori di Marc; eppure, restò fin da subito colpita dal fascino virile e dall’intelligenza eclettica di lui. Fu così che tra i due nacque una storia d’amore passionale e irrefrenabile.

Le cronache di metà anni ‘80 riportano numerosi episodi in cui i due coniugi risultarono coinvolti: rimasto disoccupato, Marc iniziò a ricorrere a una serie di piccoli furti per sopravvivere, tanto che un giorno arrivò perfino a sottrarre del denaro a suo nonno con un inganno. Ad ogni modo, è solo nell’86 che diviene celebre a causa delle molestie sessuali perpetrate ai danni di cinque adolescenti di età compresa fra i dodici e i diciannove anni. Naturalmente, le accuse contro di lui sono estremamente gravi. Tutti si aspettano una pena esemplare, ma accade qualcosa di insolito in una nazione severa e rigorosa come il Belgio: dopo appena tre anni, Dutroux ottiene la libertà condizionale. Perché una simile clemenza, proprio nei confronti dell’uomo che più di tutti meritava di essere punito e rieducato?

Non che i giorni trascorsi in carcere siano stati insignificanti: al contrario, proprio durante la sua detenzione, Marc ha finalmente potuto coronare il suo sogno amoroso sposandosi per la seconda volta, ovviamente con Michelle. Ben presto i due mettono al mondo tre figli: due maschietti e una femminuccia. Secondo un’inquietante supposizione del quotidiano francese Le Parisien, Dutroux in realtà non avrebbe mai voluto essere un padre presente e premuroso, ma avrebbe desiderato avere dei bambini solo per consumare con essi relazioni incestuose.

Già, perché col passare degli anni non solo l’attrazione di Marc per i bambini non si fermò, ma sembrò addirittura intensificarsi. L’aspetto più grottesco della storia, tuttavia, non furono tanto le brutali perversioni di lui, quanto l’accondiscendenza della moglie. Michelle asseconda il marito in ogni momento, non rivela nulla alla stampa o alla polizia sulla condotta di lui e un giorno, addirittura, giunge a suggerirgli di costruire nella propria casa a Marcinelle una cantina dove poter perpetrare i suoi stupri indisturbato.

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In quella cantina, Marc avrebbe torturato e ucciso ben quattro ragazzine innocenti. An Marchal ed Eefje Lambrecks, i cui cadaveri vennero ritrovati solo diversi anni dopo nel giardino di casa; Julie Lejeune e Melissa Russo, due bambine di otto anni lasciate morire di stenti. E il numero delle vittime avrebbe potuto essere ancora più alto…

Nel 1996 venne rapita una quinta bambina, Sabine Dardenne. Più tardi, lei racconterà di aver sentito delle mani sul suo corpo mentre si stava recando a scuola, e che subito dopo avrebbe perso i sensi. Si sarebbe risvegliata solamente qualche ora più tardi chiusa in un baule, ma, sorprendentemente, il suo carnefice non si sarebbe presentato come un criminale, bensì come il suo protettore. Le raccontò che un uomo là fuori aveva subito un torto dal padre e per questo voleva ucciderla e le disse, soprattutto, che l’unico modo per rimanere al sicuro era restare con lui. Sabine venne ripetutamente violentata, insultata, offesa e perfino costretta a guardare film pornografici da Dutroux; tuttavia, mai una volta tentò di fuggire: “C’era sempre quell’elemento: se te ne vai troverai fuori gente che t’aspetta per ammazzarti".

Non è mai stato chiarito per quale motivo, a differenza di quanto fece con le altre ragazze, il mostro di Marcinelle non uccise mai Sabine, malgrado quest’ultima avesse la netta sensazione che fosse solo questione di tempo. Ad ogni modo, il 9 agosto il malvivente decise di regalare una “sorellina” alla sua prigioniera, non esitando così a rapire presso una piscina la piccola Laetitia Delhez. Questa volta, però, qualcosa andò storto: un testimone notò l’accaduto e, pur non riuscendo a fermare Dutroux, fu in grado di identificare il veicolo di quest’ultimo recandosi quasi subito alla polizia. Tre giorni dopo, Marc e sua moglie vennero arrestati, mentre le bambine, ancora in stato di shock, poterono finalmente ritrovare la propria libertà. Di certo, è interessante il fatto che quel giorno, guardando negli occhi l’uomo che le aveva rovinato la vita, Sabine gli rivolse un’ultima emblematica parola: “Grazie”. Per anni, sarebbe rimasta convinta che il suo rapitore volesse davvero salvarle la vita.

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Durante il processo, la linea dell’avvocato difensore fu di sostenere che Dutroux era solamente la pedina di un traffico di bambine ben più grande di quanto si potesse immaginare: un traffico che coinvolgeva personalità influenti del mondo della politica e della finanza, di cui lo stesso Marc non conosceva i nomi, e con le quali interagiva solamente attraverso un anello di congiunzione, Michel Nihoul, uno dei più importanti imprenditori del Paese.

Le indagini rivelarono la presenza di una serie di complici che favorirono i rapimenti e le sevizie: vi era Bernard Weinstein, che purtroppo non sarebbe stato processato in quanto ucciso proprio da Dutroux durante una rissa di qualche anno prima; vi era Michel Lelièvre, uno studente cocainomane che rapì fisicamente alcune delle vittime; vi era ovviamente Michelle Martin, che in Corte d’Assise sarebbe stata condannata a trent’anni di carcere. L’unico uomo di cui non vennero mai chiarite le responsabilità, fu proprio quello che forse più di tutti avrebbe potuto far chiarezza: Michel Nihoul.

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Più tardi sarebbe circolata la voce secondo cui la polizia stava insabbiando numerose prove a carico dell’imprenditore e di Dutroux, per paura che questi, tramite il proprio contributo alla giustizia, potessero far vacillare personalità molto potenti. All’inizio tali supposizioni vennero giudicate poco credibili; tuttavia, solo poche settimane dopo, Dutroux fuggì dal carcere di Neufchâteau con una facilità a dir poco sospetta. Una generosa pattuglia della guardia forestale riuscì a rintracciarlo e ad arrestarlo nuovamente, ma i ministri degli interni e della giustizia, in seguito all’imbarazzo derivato dall’accaduto, vennero costretti a rassegnare le proprie dimissioni. Le ambiguità legate allo scandalo dominarono a lungo il dibattito pubblico: in parlamento venne perfino istituita una commissione per indagare sulla vicenda, che dovette scontrarsi con l’omertà di molti dei diretti interessati; così, l’intera faccenda rimase circondata da una coltre di mistero. Paul Marchal, il padre della povera An, tentò perfino di fondare un partito politico per “lottare contro la corruzione di una parte del Belgio”, ma ottenne sfortunatamente dei risultati assai modesti.

Al contrario, l’episodio che più di tutti fece indignare la nazione giunse nel 2012, quando, dopo aver scontato solo metà della sua pena, Michelle tornò in libertà. Ben 350.000 persone scesero in piazza a Bruxelles per protestare contro quella che dovevano considerare un’autentica ingiustizia, ma ancora una volta non servì a nulla. Forse è proprio per il desiderio di ottenere anch’egli dal giudice uno sconto di pena che Dutroux ha scritto in questi giorni una lettera ai parenti delle vittime, in cui chiede perdono per i suoi crimini e si dice disponibile ad offrire qualunque chiarimento possibile ai diretti interessati. Per quanto riguarda quest’ultimi, la replica non si è fatta attendere: “Troppo tardi”.

Gianmatteo Ercolino

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